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Circa un anno dopo l'ingresso, nel 1895, a Venezia si tennero le elezioni comunali, che diedero vita alla Giunta Grimani (per la cui affermazione non fu estranea l'opera del neopatriarca), destinata a governare la città fino al dicembre 1919: era espressa da un raggruppamento di cattolici e di moderati guidati dal conte Filippo Grimani, e costituì una anticipazione di quella stagione del cattolicesimo italiano che, nel periodo giolittiano, portò all'attenuazione progressiva del non expedit di Pio IX e al Patto Gentiloni (1913).
Dal punto di vista pastorale, il periodo veneziano si colloca a metà strada fra il magistero episcopale mantovano ed il magistero universale del periodo del papato: vennero ripresi, ampliati ed approfonditi tutti i temi già svolti a Mantova e che poi saranno portati in patrimonio a tutta la chiesa universale.
L'istruzione catechistica e la predicazione a Venezia erano male organizzate
e con finalità non del tutto ben precisate; la sacra eloquenza era tribunizia
e retorica, quasi profana. Perciò il nuovo patriarca, come primo atto
del periodo veneziano, non poteva non intervenire in merito: datato 17 gennaio
1895, ordinava la scuola di catechesi e la formazione dei catechisti, non solo
per l'attività nei patronati, ma anche per le scuole municipali.
Come a Mantova, frequentemente effettuava qualche blitz per osservare
se e come le sue direttive venivano applicate, specialmente in
merito allo "spirito di pietà, ardore di carità, scienza
e seria preparazione
".
Per il seminario ed il clero volle un'organizzazione disciplinare e scientifica adeguata ai tempi, rinnovò il collegio dei professori, riformò gli studi, fondò nel 1902 la facoltà di diritto canonico (la cui attività durò fino al 1932) per dare ai suoi preti una sufficiente conoscenza dei problemi giuridici. Voleva inoltre che partecipassero ogni anno con lui ad un corso di esercizi spirituali, e che intervenissero a conferenze di esegesi biblica, di storia e di archeologia cristiana.
Curava rapporti umani preferenziali con i poveri, era un confessore instancabile, aperto alla conversione dei lontani, un catechista di giovani e fanciulli.
Con la lettera pastorale del 1° maggio 1895 ribadì autorevolmente
che il canto e la musica avevano la suprema finalità di essere "preghiera
liturgica
". Le caratteristiche principali dovevano essere informate a santità
del canto, bontà dell'arte, universalità contro le "maniere
teatrali
". Indicò nel canto gregoriano, nella polifonia alla Palestrina
e nella preghiera cantata dal popolo le vie maestre della riforma della musica
sacra.
Il 21 maggio indisse la visita pastorale (che durò fino al 1898) e prese ancora una volta posizione contro il Cristianesimo moderno (Modernismo).
Un fatto totalmente nuovo (e tutto veneziano come progetto) fu il XIX Congresso
Eucaristico, il quinto nazionale italiano[1],
che vide nel metropolita dei veneti il "principale promotore
". L'occasione
fu fornita da una profanazione avvenuta nella chiesa degli Scalzi. Il 6 aprile
1895 una mano sacrilega asportò una pisside disperdendo le particole
per le calli. "Per fare atto di riparazione a Gesù sacramentato,
per il mondo che lo misconosce
", il patriarca indisse subito un Congresso
Eucaristico che fu celebrato due anni dopo, tra l'8 e il 12 agosto 1897.
Si prodigò per aumentare nei fedeli l'amore per l'eucarestia, per far crescere nel popolo mediante la comunione frequente e quotidiana; esortò i parroci ad ammettere a tale sacramento i fanciulli, senza preoccuparsi troppo dell'età, purché fossero abbastanza coscienti del passo che stavano per fare.
Il 1° novembre 1897 indisse il XXIX sinodo della chiesa veneziana, che fu celebrato dall'8 al 10 agosto 1898, con lo scopo di renderla più aderente alle esigenze dei nuovi tempi, dato che la preesistente normativa risaliva al 1865, anno in cui fu promulgata dal card. Giuseppe Trevisanato, patriarca dal 1862 al 1877.
A riguardo del Movimento Cattolico, sulla linea di quanto affermato nei Congressi di Lodi (1890) e di Vicenza (1891), voleva che i cattolici impegnati nel sociale fossero estremamente motivati nell'azione come fratelli, con disciplina, obbedienza, abnegazione nei confronti dei pastori[2]. Tenne sempre un comportamento super partes, cercando sempre di mediare le varie posizioni ed invitando sempre i sostenitori intransigenti dell'Opera dei Congressi e quelli della corrente murriana, detta democratico-cristiana, a condurre l'impegno politico con aderenza al messaggio della fraternità ed al magistero della Chiesa, pur essendo molto più vicino ai primi come forma mentis e formazione sacerdotale.
La questione sociale lo vide invitare le persone a guardare a Cristo-operaio e prodigarsi per trovare, in ogni occasione di contrasto, un'intesa fra prestatori d'opera e datori di lavoro. Più che per le grandi idee o teorizzazioni (alla Leone XIII, per intenderci) era per gli interventi pratici, ben studiati e "mirati", che potevano tenere a distanza le idee socialiste: diede così impulso alla scuola del merletto di Burano (che dava lavoro a 400 ragazze) contribuendo all'emancipazione della donna, si premurò contro l'usura per la costituzione delle casse operaie parrocchiali, le casse rurali ed il Banco di S. Marco, incentivò le società di Mutuo Soccorso (assicurazione contro le malattie), incoraggiò il segretariato del popolo per l'assistenza agli operai ed agli emigranti.
Al secondo Congresso dell'Unione Cattolica degli studiosi di Scienze Sociali
di Padova (26-28 agosto 1896) rivolse ai presenti un discorso esclusivamente
pastorale e religioso, iniziato e terminato con un solenne Sia lodato Gesù
Cristo, che esprimeva la sua visione del problema, imperniata sulla certezza
"dell'ortodossia delle dottrine che saranno sviluppate coi criteri
più rigorosi della scienza cristiana, nella più schietta adesione
alla fede cattolica e nella più perfetta dipendenza dalla Chiesa, in
cui continua e si svolge la vita e la dottrina di Gesù Cristo
"[3].
Anche da patriarca, a riguardo della carità materiale personale, era
sempre il solito Giuseppe Sarto: non si limitava a dare con giusta misura, ma
continuava a privarsi di tutto con "prodigalità
".
Nonostante alcuni storici sottolineino la provincialità e la ristrettezza
delle sue attività pastorali, il presule veneziano era molto considerato
anche a Roma: non era certamente uno sconosciuto, perché era ritenuto
la "gemma del sacro Collegio
" e Leone XIII espresse il desiderio di
averlo a Roma come suo vicario.
Mons. Giuseppe Sarto cardinale patriarca di Venezia (1893-1903).
[1] La celebrazione dei Congressi eucaristici italiani ebbe inizio a Napoli nel 1891 e continuò a Torino nel 1894, a Milano nel 1895, ad Orvieto nel 1896 e a Venezia nel 1897, che fu l'ultimo dell'Ottocento. Fino al 1920 non ebbero più luogo: l'interruzione è dovuta alla mancanza di un comitato organizzatore italiano ed alla Prima Guerra Mondiale. Quindi durante il pontificato di Pio X, che pure fu detto il papa dell'eucarestia, non fu curata nessuna manifestazione eucaristica di livello nazionale, mentre ebbero luogo alcuni Congressi a livello internazionale (Angoulême, 1904; Colonia, 1909; Madrid, 1911; Malta, 1913).
[2] ROMANATO G., Giuseppe Sarto e il Movimento cattolico, in AA. VV., Le radici venete di San Pio X. Saggi e ricerche a cura di Silvio Tramontin, Morcelliana, Brescia, 1987, p. 125.
[3] Unione Cattolica per gli Studi Sociali in Italia, Atti e documenti del secondo Congresso Cattolico Italiano degli studiosi di Scienze Sociali tenutosi in Padova nei giorni 26, 27, 28 agosto 1896, Tipografia del Seminario, Padova, 1897, p. 108.
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ultimo aggiornamento: 09.08.2007