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Fece il suo ingresso senza alcun festeggiamento esteriore nella parrocchia di S. Bartolomeo di Salzano la sera del 13 luglio 1867, di sabato.
La sua venuta non era gradita da parte della popolazione e dei maggiorenti del luogo, a capo dei quali si segnalarono i pubblici amministratori ed i fabbricieri, abituati a parroci di grande esperienza e di fama. Le parole di scarso apprezzamento ed i mugugni non si sprecarono: troppo giovane (32 anni) per una comunità così importante, poche referenze, troppo poco noto.
Un prete insomma "che no se ghe darìa un schèo
" (un
sacerdote di poco valore), ma ben presto tutti si ricredettero.
Salzano era una comunità ecclesiale di 2282 abitanti, per la maggior parte agricoltori, quasi tutti mezzadri della famiglia di Moisè Vita Jacur (1797-1877), israelita, che aveva ampi possedimenti.
Come tutti gli storici sono concordi di sottolineare, l'impegno maggiore del nuovo e giovane parroco fu quello della catechesi degli adulti e dei fanciulli.
Istituì un catechismo a dialogo con don Giuseppe Menegazzi (Noale, 1840-Treviso, 1917), suo successore alla guida della parrocchia dal 1876 al 1885. Frutto concreto di questa metodologia sono due quaderni manoscritti, valorizzati da mons. Francesco Tonolo nel 1954 e da mons. Giuseppe Badini nel 1974, che contengono 577 domande e risposte[1].
Questa prassi catechistica richiamava a Salzano i fedeli delle parrocchie limitrofe,
che disertavano le proprie chiese con conseguenti lagnanze dei parroci presso
il vescovo, che si limitava a suggerire: "fate anche voi altrettanto!
".
Accanto alla catechesi ordinaria curava la Confraternita della Dottrina Cristiana,
eretta nel 1723.
Altro aspetto per cui è universalmente nota l'azione pastorale di don Giuseppe Sarto a Salzano è quello dell'ammissione all'eucaristia dei fanciulli in giovanissima età, proprio appena erano capaci di distinguere la differenza fra il pane-cibo quotidiano ed il pane-cibo spirituale: anticipò tale ammissione all'età di 8-9 anni, mentre era in uso pressoché generalizzato un avvicinamento alla mensa eucaristica intorno ai 12-14 anni.
Liturgia e musica sacra erano per il giovane parroco di Salzano momenti di grande intensità e indissolubilmente legati tra loro: restaurò l'organo settecentesco del Moscatelli, ampliato dal Callido e dai Fratelli Bazzani (9 novembre 1867), e nell'inverno 1868 istituì una scuola serale di canto. La notorietà acquisita dal giovane sacerdote in ambito musicale era apprezzabilmente alta, certamente di livello ultradiocesano: fu invitato a partecipare nel 1874 al 1° Congresso dei cattolici italiani, tenuto a Venezia nel 1874 (12-16 giugno), ma non vi prese parte[2].
L'attività pastorale sul versante mariano si realizzò soprattutto nei confronti della Madonna del Carmine, onorata sotto il nome locale di Madonna della Roata, istituì la pia pratica del mese di maggio (1869) che prima non esisteva, ed onorò la Madonna Immacolata Vergine commissionando una pala d'altare nell'oratorio posto in località Castelliviero. Contribuì ad aumentare il culto di S. Antonio di Padova, di S. Luigi e di S. Valentino con la pala commissionata nel 1870 al pittore veneziano Pietro Nordio.
Sul fronte più strettamente amministrativo, certamente non lieve fu la gestione del passaggio dal regime legato alla dominazione austriaca a quello dell'Italia appena uscita dalla Terza Guerra d'Indipendenza, che trasferì al Veneto la legislazione giacobina ed anticlericale piemontese.
Si trovò subito a rivendicare alla sua nuova parrocchia il lascito del suo predecessore, don Antonio Bosa (Pagnano, 1804-Salzano, 1867), che riuscì a trasformare nella Pia Opera Bosa, con un pensiero particolare dedicato alle giovani maritande di onorato costume, ai giovani ed al lavoro dei giovani.
Come molti parroci veneti dell'Ottocento, si trovò investito della responsabilità di dirigere le scuole del comune: fu infatti eletto direttore nel 1868 e sopraintendente nel 1869; tra l'altro durante la sua cura parrocchiale fu aperta la sezione femminile della scuola comunale, perché in precedenza, durante il governo austriaco, per le donne non era prevista alcuna istruzione. Il suo pensiero mirava anche all'alfabetizzazione degli adulti, per la cui istruzione si adoperò durante le ore serali.
Sul fronte degli anziani e della sanità pubblica, potenziò il locale ospedale civile (uno dei pochi della provincia di Venezia, chiuso per ragioni finanziarie nel 1883) e la annessa casa di ricovero per anziani, fondati da don Antonio Bosa nel 1855 in seguito al lascito di don Vittorio Allegri (Loreggia, Padova, 1791-Padova, 1835), parroco di Salzano dal 28 aprile 1791 al 24 ottobre 1825[3], dotandoli pure di adeguata normativa (statuto e regolamento interno).
Curò in modo particolare l'unione del paese, frazionato dal punto di vista civile ed amministrativo fin dai tempi della plurisecolare dominazione della Serenissima Repubblica veneta, che permanevano ancora vive.
Come a Tombolo, anche a Salzano dedicava poco tempo al riposo notturno. Studiò in modo particolare i Padri della Chiesa, si esercitò nell'oratoria ecclesiastica e continuò a scrivere prediche.
Molto utile per ricostruire tutte le sue iniziative è un Registro
di una cassa privata, che teneva parallelamente a quella ufficiale, nella
quale annotava ogni minima spesa sostenuta. In esso sono annotate tra l'altro
le misere entrate, quasi tutte imputabili alla borsa fatta girare in chiesa
e alle cosiddette "cérche
", cioè alle questue in generi
di natura, quali frumento, granoturco, uva, legna, galletti, bozzoli da seta
(galette), uova, vino), e le spese, il cui capitolo più rilevante
e pesante va cercato nella estinzione di un gravosissimo debito acceso dal predecessore
don Antonio Bosa, che aveva voluto intorno al 1843 ricostruire quasi radicalmente
la chiesa in stile neoclassico, debito che gli riuscì di onorare "usque
ad ultimum quadrantem
" il 12 dicembre 1873, pagando le ultime 1000 lire
all'impresario miranese Giuseppe Dal Maschio (1829-1889), figlio di quel
Marco Dal Maschio (1793-1870) che tanto si era adoperato presso il Sarto per
recuperare quanto gli era dovuto.
Sul fronte del lavoro femminile don Giuseppe Sarto si impegnò anche
affinché fosse industrializzata un'attività locale legata
al baco da seta, presente forse dal 1600: il 26 settembre 1872 fu infatti inaugurato
da Moisè Vita Jacur un setificio che dava lavoro a circa 200 ragazze
del luogo. Il parroco contribuì anche alla fabbricazione dell'opificio
assumendo l'impresa della fornitura della ghiaia necessaria "nella
speranza di poter in qualche modo, colle semi gratuite prestazioni dei Parrocchiani,
provvedere agli urgenti bisogni della Povera Chiesa
"[4].
Dal punto di vista religioso portò in auge le 40 ore di adorazione del Santissimo nella Settimana Santa e riorganizzò la Confraternita del Santissimo nel 1875, proprio nell'anno in cui fu promosso canonico del capitolo di Treviso. Un altro obiettivo che aveva intenzione di realizzare nello stesso anno fu quello dell'associazione delle Figlie di Maria, ma fu realizzato dai suoi successori.
Esercitò la carità e si affidò alla Provvidenza: continuò a perfezionare, in questo ambito, anche a Salzano il comportamento quotidiano che aveva già ampiamente collaudato a Tombolo, perché donava biancheria personale, i cibi che le sorelle cucinavano, la legna, il grano, le scarpe.
Più volte impegnò al Monte di Pietà di Venezia il suo anello parrocchiale, donato ai parroci di Salzano da don Vittorio Allegri nel suo testamento del 10 marzo 1828.
Aveva un carattere generoso e impulsivo, che riusciva tuttavia a controllare. Nel 1869 subì un processo dal quale uscì assolto, mentre furono condannati alcuni parrocchiani che erano accorsi in suo aiuto. Alcuni personaggi, che erano entrati in diverbio col parroco di Salzano nel pomeriggio della domenica 27 giugno, denunciarono all'autorità di essere stati aggrediti, con l'intenzione di coinvolgerlo nell'increscioso fatto: uscitone a testa alta, conservò tuttavia gratitudine per quelli che avevano preso le sue difese ed erano stati condannati dopo il processo avvenuto il 23 ed il 24 dicembre 1869, con pene confermate in appello il 25 gennaio 1870[5].
Altri episodi, che dai testimoni sono stati più volte citati nei processi
canonici di glorificazione di Giuseppe Sarto, riguardano il colera che nel 1873
aggredì (come già nel 1836, nel 1847 e nel 1855) il comune e la
parrocchia di Salzano. Il parroco si impegnò in prima persona, con sprezzo
della sua vita. Tracce significative della sua partecipazione al dramma che
aveva coinvolto i suoi parrocchiani si ritrovano nei registri parrocchiali dei
morti. Il momento più alto del coinvolgimento emerge dalla lettura degli
atti di morte di due giovani sposi, Vittorio Gambaro e Bottacin Giuditta, rispettivamente
di 21 e 20 anni. Il Gambaro morì di colera, ed il suo decesso fu registrato
negli atti parrocchiali. Poche ore dopo però morì anche la giovanissima
moglie. Così il parroco consegnò ai posteri l'accaduto, con
un messaggio di fede e di speranza: "Povera sposa. assistendo indefessa
al letto del marito Gambaro Vittorio contrasse il morbo che in sole 5 ore la
fé raggiungere lo sposo. E così quei che l'amore fé
uniti in vita et in morte non sunt divisi. Sit perpetua animabus benedictis
requies
".
Il superimpegno gli comportò un notevole stress, tanto che si temette per la sua salute, ma riuscì a superare anche questa prova.
Lasciò Salzano ufficialmente il 16 settembre 1875, anche se gli ultimi atti di passaggio delle consegne furono firmati il 26 novembre 1875, come risulta dai registri parrocchiali.
La chiesa arcipretale di Salzano (Venezia), dove fu parroco dal 1867 al 1875. Fu l'unico papa che percorse tutti i gradi del ministero sacerdotale.
[1] TONOLO F., Come da parroco Pio X insegnò il catechismo Il catechismo manoscritto di don Giuseppe Sarto, in "Catechesi", XXIII (1954), pp. 367-376. Testi e documenti di vita spirituale e azione pastorale, a cura di BADINI G., anno XXI, Edizioni Paoline, Roma, 1975, pp. 101-225; pp. 337-345.
[2] NIERO A., Esperienze e riforme liturgiche, in AA. VV., Le radici venete di San Pio X Saggi e ricerche a cura di Silvio Tramontin, Morcelliana, Brescia, 1987, p.52.
[3] Vittorio Allegri fu una singolare figura di sacerdote, ancora non del tutto ben compresa dal punto di vista storico ed ecclesiale. Per qualche approccio conoscitivo, si vedano BACCHION E., Salzano Cenni storici, Ristampa anastatica a cura dell'Amministrazione Comunale di Salzano, con una nota introduttiva di Silvio Tramontin e una scheda bio-bibliografica di Quirino Bortolato, Amministrazione Comunale di Salzano, Multigraf, Spinea, 1986, pp. 65-66, 75; BACCHION E., Pio X Giuseppe Sarto Arciprete di Salzano (1867-1875), Amministrazione Comunale di Salzano con il patrocinio della Fondazione Giuseppe Sarto, Multigraf, Spinea, 1996, p. 214+112; AA. VV., La Casa di Riposo "Don Vittorio Allegri" dalle origini ai giorni nostri, Studiostampa - Tipo-offset "La Commerciale", Piombino Dese, 1974, p. 158.
[4] BACCHION E., Salzano Cenni storici, Ristampa anastatica a cura dell'Amministrazione Comunale di Salzano, con una nota introduttiva di Silvio Tramontin e una scheda bio-bibliografica di Quirino Bortolato, Amministrazione Comunale di Salzano, Multigraf, Spinea, 1986, pp. 112-116; BACCHION E., Pio X Giuseppe Sarto Arciprete di Salzano (1867-1875), Amministrazione Comunale di Salzano con il patrocinio della Fondazione Giuseppe Sarto, Multigraf, Spinea, 1996, pp. 93-95.
[5] [BACCHION E.], Un aneddoto della vita del Parroco Sarto, in Salzano al suo pastore In commemorazione del giubileo sacerdotale di Mons. Arciprete, Salzano, 18 agosto 1946, Eugenius Bacchion junior curavit, Venezia, Stamperia Marciana, 1946. Si consulti pure BACCHION E., Pio X Giuseppe Sarto Arciprete di Salzano (1867-1875), Amministrazione Comunale di Salzano con il patrocinio della Fondazione Giuseppe Sarto, Multigraf, Spinea, 1996, pp. 72-73.
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ultimo aggiornamento: 13.08.2007