04/08/1908
Abbiamo scolpite nella mente e ci riempiono di salutare timore le parole dell'Apostolo
agli Ebrei (Eb 13,17), che, inculcando loro il dovere dell'ubbidienza verso
i superiori, affermava con tutta la sua autorità: "Essi vegliano come responsabili
che dovranno render conto delle anime vostre
". Se questa sentenza riguarda
tutti quelli, che hanno nella Chiesa una qualunque preminenza, principalmente
riguarda noi, che, benché impari a tanto officio, abbiamo nella Chiesa la suprema
autorità. Quindi notte e giorno senza posa non ci stanchiamo di meditare e di
tentare tutto quanto interessa l'incolumità e la prosperità del gregge affidatoci
da Dio. Fra queste preoccupazioni una più delle altre ci sta a cuore, ed è che
i sacerdoti siano tali, quali li esige la dignità del loro ministero, poiché
a nostro avviso, per questa via principalmente, possiamo nutrire liete speranze
dell'avvenire della religione. Così, non appena saliti al soglio pontificio,
benché, volgendo uno sguardo all'universalità del clero, scorgessimo in esso
molteplici titoli di lode, tuttavia non potemmo non esortare con ogni studio
i nostri venerandi fratelli, i vescovi dell'orbe cattolico, che in nulla ponessero
tanta perseveranza e tanta cura, quanto nel formar Cristo in quelli che a formar
Cristo negli altri sono destinati. Né ci sfugge lo zelo e l'attività, che dispiegano
nell'educare il clero alla virtù, del che ci torna dolce non tanto di render
loro una pubblica lode, quanto di esprimere i sensi della più viva riconoscenza.
Se non che, mentre per una parte ci allieta il vedere che, per tali cure dei
vescovi, già molti ecclesiastici si mostrano accesi di un sacro fuoco, che risuscita
o ravviva in essi la grazia di Dio ricevuta nell'imposizione delle mani nella
sacra ordinazione, per l'altra ci resta ancora a lamentare che alcuni altri,
in diverse regioni, non sono così esemplari, che i fedeli cristiani, volgendo
gli occhi in loro, quasi in uno specchio, siccome a guida, possono conformare
se stessi al loro esempio. A questi vogliamo aprire il nostro cuore con questa
lettera, come il cuore di un padre palpitante di ansiosa carità nel cospetto
del figlio infermo. Per un tale veemente amore, aggiungiamo a quelli dei vescovi
i nostri ammonimenti; i quali, benché indirizzati specialmente a ridurre a miglior
consiglio i fuorviati e giacenti in letargo, tuttavia possono, come è nostro
vivo desiderio, essere anche agli altri di stimolo. Noi additiamo la via, seguendo
la quale, ciascuno deve sforzarsi ogni giorno più di riuscire, secondo la chiara
espressione dell'Apostolo, "uomo di Dio
" (1Tm 6,11), e di corrispondere
alla giusta aspettazione della Chiesa. Nulla diremo di non mai udito da Voi,
o di nuovo per chicchessia, ma cose, le quali conviene che ognuno si rammenti:
e Dio ci infonde la speranza che la nostra voce sia per produrre notevole buon
frutto. Questo è il nostro desiderio: "che vi rinnovelliate... nello spirito
della vostra mente, e vi rivestiate dell'uomo nuovo creato secondo Dio nella
giustizia e nella vera santità
" (Ef 4,23-24): e sarà questo il più bello
e il più gradito dono, che Ci possiate offrire nel cinquantesimo del nostro
sacerdozio. E mentre noi, "contriti di anima e umiliati di spirito
"
(Dn 3,39), ripenseremo in Dio i passati anni del nostro sacerdozio; espieremo
in certo qual modo i nostri umani mancamenti, dei quali Ci abbiamo a pentire,
ammonendovi con paterna cura, "onde camminiate in maniera degna di Dio,
piacendo a Lui in tutte le cose
" (Col 1,10). Ed in una simile esortazione
non miriamo semplicemente alla vostra utilità, ma al vantaggio generale dei
fedeli cattolici, che da quella non si può separare. Poiché tale non è il sacerdote
che possa essere buono o cattivo semplicemente per sé, ma l'esempio della sua
vita non è a dire di quali conseguenze sia fecondo sull'indirizzo della vita
dei fedeli. Ove è un sacerdote veramente buono, qual tesoro è veramente largito
dal cielo!
Diamo principio, diletti figli, alla nostra esortazione, con l'incitarvi a
quella santità, che è richiesta dalla dignità del vostro grado. Poiché chi è
insignito del sacerdozio, non per sé soltanto, ma per gli altri ancora ne è
insignito: "Ogni pontefice scelto tra gli uomini, è preposto a pro degli
uomini a tutte quelle cose che riguardano Dio
" (Eb 5,1). Il medesimo pensiero
volle esprimere Cristo, quando, a significare quale sia il fine dell'azione
sacerdotale, li paragonò al sole ed alla luce del mondo, sale della terra.
Ognuno sa che sale e luce Egli è principalmente per l'ufficio che ha di distribuire
il pane della verità cristiana; ma chi è che ignori che un tale ammaestramento
non approda a nulla, se il sacerdote non consacri con l'esempio le cose insegnate
con la parola. Gli uditori con irriverenza sì, ma non a torto obietteranno:
"Professano di conoscere Dio e lo rinnegano coi fatti
" (Tt 1,16);
e respingeranno la dottrina, né fruiranno della luce del sacerdozio.
Ond'è che Cristo, forma viva del sacerdote, insegnò prima con l'esempio e poi
con le parole: "Principiò Gesù a fare, e poi ad insegnare
" (At 1,1).
Parimenti se gli si levi la santità a nessun titolo il sacerdote sarà più sale
della terra: poiché ciò che è corrotto e contaminato non può servire a conferire
la purezza; e, donde esula la santità, conviene che abiti la contaminazione.
Perciò Gesù, continuando la medesima figura, chiama tali sacerdoti sale insipido,
"che non è più buono a nulla se non ad esser gettato via e calpestato dalle
genti
" (Mt 5,13).
Quanto si è fin qui detto riceve nuova luce, quando si pensa che noi esercitiamo
l'ufficio sacerdotale non già a nostro nome, ma nel nome di Gesù. "Così
",
dice l'Apostolo, "ognuno consideri noi come ministri di Cristo e dispensatori
de' misteri di Dio
" (1Cor 4,1); "siamo davvero adunque ambasciatori
di Cristo
" (2Cor 5,20). Proprio per questo motivo Cristo ci ascrisse non
al numero dei suoi servi, ma degli amici: "Non vi chiamerò già più servi...
Ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello che intesi dal Padre mio, l'ho
fatto sapere a voi... Io ho eletto voi, e vi ho destinati, che andiate e facciate
frutto
" (Gv 15,16). È quindi nostro ufficio di rappresentare la persona
di Cristo e di condurre la missione da lui affidataci in maniera che ci sia
dato di raggiungere il fine, che Egli ha di mira. E poiché "il bramare
e schivare le cose medesime, questo è il pegno più fermo d'amicizia
",
siamo tenuti, come amici, a nutrire i medesimi sentimenti, che sono in Cristo
Gesù, che è "santo, innocente, immacolato, impolluto
" (Eb 7,26): come
suoi ambasciatori, dobbiamo conciliare gli uomini alla sua dottrina ed alla
sua legge, non senza osservarle prima noi stessi: come partecipi della sua autorità
nell'alleggerire le anime dalle catene della colpa, conviene che poniamo ogni
studio nell'evitare di caricarci noi di tali catene. Ma più come suoi ministri
nell'augusto sacrificio che, con perenne prodigio, si rinnova per la vita del
mondo, dobbiamo avere la medesima disposizione di animo, con la quale Egli sull'ara
della croce si offrì ostia immacolata a Dio. Poiché, se in antico, quando non
esisteva che un'ombra e figura del vero sacrifizio, si esigeva nei sacri ministri
tanta santità, quale non è giusto che si esiga, ora che la vittima è Cristo?
"Quanto dunque non conviene che sia più puro chi fruisce di un tal sacrifizio?
di quale raggio solare non deve essere più splendida la mano, che divide questa
carne, la bocca che è saziata dal fuoco spirituale, la lingua che rosseggia
di questo sacramentissimo sangue?
".
Assai opportunamente san Carlo Borromeo nei discorsi al Clero così inculcava:
"Se ci ricordassimo, dilettissimi fratelli, quante e quanto preziose cose
abbia poste Dio nelle nostre mani, quale stimolo non sarebbe per noi questa
considerazione a farci condurre una vita degna di ecclesiastici! Che cosa non
pose Iddio nelle mani, quando vi pose il proprio suo Figlio unigenito, come
Lui eterno ed a Lui eguale? Nella mano mia pose i tesori suoi, tutti i sacramenti
e le grazie: pose le anime che gli sono care come la pupilla e che nell'amore
preferì a se stesso, che redense con il suo sangue; nelle mie mani pose il cielo
che io posso aprire e chiudere agli altri... Come mai dunque potrò io essere
così ingrato a tanta degnazione ed amore da peccare contro di Lui, da offenderlo
nell'onore, da inquinare questo corpo che è suo, da macchiare questa dignità
e questa vita al suo ossequio consacrata?
".
Ad ottenere nei suoi sacerdoti questa santità di vita, la Chiesa mira con assidue
e non mai interrotte cure. A tal fine furono istituiti i Seminari: dove, se
coloro che costituiscono le speranze della Chiesa devono essere educati nelle
lettere e nelle scienze, nello stesso tempo, tuttavia, e più ancora lo devono
essere sino dai più teneri anni ad una sincera pietà verso Dio. Inoltre, nel
mentre promuove i candidati ai gradi sacri con non brevi intervalli, non pone
fine mai, come madre amorosa, alle esortazioni, che impartisce intorno al conseguimento
della santità. Richiamiamoci queste tappe gioconde. Non appena ci ascrisse nella
sacra milizia, volle che dichiarassimo secondo il rito: "Il Signore è la
porzione della mia eredità e del mio calice; tu sei quegli che a me restituirà
la mia eredità
" (Sal 16,5). Con le quali parole, commenta san Girolamo,
si ammonisce "il chierico, affinché egli, che è parte del Signore o ha
per sua parte il Signore, si diporti così che Egli possegga il Signore e sia
dal Signore posseduto
". Quanto gravi parole rivolge poi la Chiesa ai novelli
suddiaconi! Dovete considerare attentamente quale obbligo oggi di vostra spontanea
volontà assumete...; quando avrete ricevuto quest'Ordine, non vi sarà più possibile
di volgere indietro i passi; ma dovrete servire in perpetuo a Dio, e mantenere,
con la sua grazia, la castità. E infine: se finora foste tardi alla Chiesa,
d'ora innanzi dovete essere assidui; se finora foste sonnolenti, d'ora innanzi
vigilanti...; se finora disonesti, d'ora innanzi casti... Riflettete di chi
vi si affida il servizio!
E per i promuovendi al diaconato così prega la Chiesa per mezzo del Vescovo:
"Abbondi in essi la bellezza di ogni virtù, l'autorità modesta, la pudicizia
costante, la ferma purità dell'innocenza e l'osservanza della spirituale disciplina.
I suoi precetti risplendano nella loro vita, affinché dall'esempio della loro
castità il popolo si ecciti a imitarli santamente
". Ma più commovente ancora
è l'ammonizione rivolta a coloro che devono essere iniziati al sacerdozio: "Con
grande timore a così alto grado si deve salire, ed allora bisogna accertarsi
che una celeste sapienza, illibati costumi e lunga osservanza della legge di
Dio distinguano gli eletti a tale dignità... Sia il profumo della vostra vita
diletto della Chiesa di Cristo, affinché con la parola e con l'esempio edifichiate
la casa della famiglia di Dio
". E più di ogni cosa ci stimola la grave
sentenza, che si aggiunge: "Siate all'altezza di ciò che amministrate (imitamini
quod tractatis)
"; il che concorda col precetto di san Paolo: "Affine
di rendere perfetto ogni uomo in Cristo Gesù
" (Col 1,28).
Poiché questa dunque è la mente della Chiesa riguardo alla vita sacerdotale, non potrebbe riuscire ad alcuno di meraviglia, che tale sia la consonanza delle voci dei Padri e dei Dottori intorno a questo punto così che sembrino peccare di ridondanza.
Ma, se con retto giudizio li osserviamo, ci apparirà evidente come altro non
dicano che il vero e il giusto. Il loro giudizio si può brevemente esporre così:
tanta differenza è tra il cielo e la terra; e quindi guardi bene il sacerdote
che la sua virtù non solo non sia tocca neppure dall'ombra delle più gravi colpe,
ma neppure delle più lievi. A tal riguardo il Concilio di Trento fece suo il
pensiero di quegli uomini venerandi, quando ammonì i chierici di fuggire anche
i leggeri mancamenti, che in loro sarebbero massimi : massimi non già in sé,
ma per ragione di chi li commette, al quale più ancora che all'edifizio sacro,
conviene quel detto: "Alla casa tua, (o Signore), si conviene la santità
"
(Sal 93,5).
Ed ora è da vedere in che cosa consista una tale santità, della quale il sacerdote
non può esser privo senza grave vergogna; poiché se alcuno ne ignora o male
ne intende l'essenza, si trova in grande pericolo. C'è chi crede, anzi chiaramente
professa, che il merito del sacerdote consista semplicemente nel sacrificarsi
tutto al bene degli altri; per cui neglette quasi del tutto quelle virtù, che
mirano al perfezionamento individuale (le così dette virtù passive),
dicono che si deve porre ogni studio per conseguire ed esercitare quelle virtù
che chiamano attive. Questa è dottrina indubbiamente fallace e rovinosa. Intorno
ad essa così si esprime, con la consueta sapienza, il nostro predecessore di
felice memoria: "Che le cristiane virtù non siano opportune a tutti i tempi
non può cadere in mente se non a chi si sia scordato delle parole dell'Apostolo:
"Coloro che Egli previde, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine
del Figliol suo
" (Rm 8,29)". Cristo è maestro ed esemplare di ogni
forma di santità, al cui esempio è necessario che si modellino tutti quanti
vogliono essere accolti nel regno dei cieli. Ora Cristo non muta col passare
dei secoli; ma è il medesimo "ieri, e oggi; ed è sempre Lui anche nei secoli
"
(Eb 13,8). Quindi agli uomini di tutti i tempi è rivolta quella parola: "Imparate
da me, che son mite e umile di cuore
" (Mt 11,29); in ogni tempo Cristo
ci si presenta "ubbidiente sino alla morte
" (Fil 2,8); e vale per
tutte le età la sentenza dell'Apostolo: "Quelli che sono di Cristo hanno
crocifisso la loro carne co' vizi e con le concupiscenze
" (Gal 5,24).
I quali documenti sono rivolti a ciascheduno dei fedeli, in modo tutto speciale
riguardano i sacerdoti: essi, più che gli altri, devono prendere come a sé
rivolte le parole, che il medesimo nostro predecessore con apostolico zelo aggiunge:
"Ed oh! fossero più numerosi i cultori di tali virtù, a imitazione dei
santi delle passate età: i quali con l'umiltà, l'ubbidienza, la mortificazione
di sé, furono potenti in opere e in parole, con indicibile vantaggio
non solo della religione, ma dello stato e della civiltà
". Dove cade opportuno
osservare come il sapientissimo Pontefice fa menzione speciale della mortificazione
che con evangelica parola diciamo: abnegazione di sé. Poiché,
di qui specialmente, dipende, o diletti figli, la forza e la virtù e il frutto
del ministero sacerdotale; al contrario dalla negligenza di questa virtù, nasce
tutto quanto nei costumi e nella vita del sacerdote può offendere gli
occhi e sconcertare gli animi dei fedeli. Poiché l'agire a solo scopo
di turpe lucro, l'ingolfarsi negli affari mondani, l'aspirare ai primi gradi
e sprezzare i più modesti, il condiscendere alla carne e al sangue col
troppo affetto ai parenti, il soverchio studio di piacere agli uomini, il porre
la fiducia del proprio successo nell'umana destrezza della parola: tutte queste
cose derivano dalla negligenza del precetto di Cristo e dal respingere la condizione,
che egli ci pose: "Chi vuol venir dietro a me rinneghi se stesso
"
(Mt 16,24).
Nel mentre inculchiamo così vivamente questo dovere dell'ecclesiastico, non
possiamo non avvertire nel medesimo tempo che il sacerdote deve vivere santo
non per sé solo; poiché egli è il lavoratore, che Cristo "mandò a lavorare
nella sua vigna
" (Mt 20,1). È dunque suo officio di svellere le male erbe,
seminare quelle buone e fruttifere, innaffiare, badar bene che l'uomo nemico
non vi semini fra mezzo la zizzania. Perciò deve il sacerdote stare in guardia,
affinché indotto da un malinteso desiderio della sua perfezione interiore, non
trascuri alcune di quelle parti del suo ministero, che spettano al bene dei
fedeli. Tali sono la predicazione della parola di Dio, l'ascoltare le confessioni,
l'assistere gli infermi e specialmente i moribondi, l'istruire gli ignoranti
nelle cose di fede, il consolare gli afflitti, il ricondurre i fuorviati, l'imitare
in ogni cosa Cristo, "il quale passò la sua vita facendo del bene e sanando
tutti coloro che erano oppressi dal diavolo
" (At 10,38).
Certo, vi stia scolpito in mente l'insigne ammonimento di san Paolo: "Non
è nulla né colui che pianta, né colui che innaffia, ma è Dio che dà il crescere
"
(1Cor 3,7). Voi potete ben gettare i semi camminando e piangendo, voi potete
ben coltivarli con ogni fatica; ma che germoglino e diano i desiderati frutti,
è opera del solo Dio e del suo potentissimo intervento. Di più, non bisogna
dimenticare che altro non sono gli uomini se non istrumenti, dei quali si serve
Dio per la salute delle anime; e che per conseguenza devono essere idonei ad
essere maneggiati da Dio. E ciò in qual maniera? Crediamo dunque che Dio si
muova a servirsi di noi; per propagare la sua gloria, in vista di una nostra
eccellenza o capacità congenita o acquisita? Non già, poiché sta scritto: "Le
cose stolte del mondo elesse Dio per confondere i sapienti: e le cose deboli
del mondo elesse Dio per confondere i forti; e le ignobili cose del mondo e
le spregevoli elesse Dio e quelle che non sono per distruggere quelle che sono
"
(1Cor 1,27-28). Una cosa sola assolutamente serve per unire l'uomo a Dio, a
renderlo a Dio grato, e ministro non indegno delle sue misericordie: la santità
della vita e del costume.
Quando manchi al sacerdote questa, che solo costituisce la sovraeminente scienza
di Gesù Cristo, gli manca ogni cosa. Poiché senza questa scienza la stessa vastità
di una raffinata cultura (che pure noi medesimi con ogni cura ci studiamo di
promuovere per il Clero) e la stessa destrezza e solerzia negli affari, quand'anche
potessero essere di qualche frutto alla Chiesa o ai singoli fedeli, non raramente
tuttavia sono a loro causa deplorevole di detrimento. Ma quanto possa nel popolo
di Dio intraprendere e condurre a termine chi sia ornato di santità, anche nell'infimo
grado della gerarchia, ce lo dicono numerosi esempi tratti da ogni età della
storia; basti ricordare tra i recenti il Curato d'Ars, Giovanni Battista Vianney,
al quale siamo lieti di avere noi medesimi decretato gli onori dei Beati. La
santità sola ci rende quali ci richiede la nostra vocazione divina, uomini cioè
crocifissi al mondo, e ai quali il mondo è crocifisso; uomini che camminano
"vivendo nuova vita
" (Rm 4,4), i quali, secondo l'avviso di san Paolo
(2Cor 6,5-7) nelle fatiche, "nelle vigilie, nei digiuni, con la castità,
con la scienza, con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spirito Santo, con
la carità non simulata; con le parole di verità
", si manifestino veri ministri
di Dio: che unicamente tendano alle cose celesti e si studino con ogni zelo
di rivolgere al cielo le anime degli altri.
Ma poiché, come nessuno ignora, la santità in tanto è frutto della nostra volontà,
in quanto questa è sostenuta dalla grazia di Dio, Dio provvide largamente a
che non mai avessimo a patire difetto, purché lo si voglia, del dono della grazia;
e questa si ottiene in primis con la preghiera. Non vi è dubbio che tra
la preghiera e la santità intercorre tale relazione che l'una non può sussistere
senza l'altra. Quindi corrisponde pienamente alla verità quella sentenza del
Crisostomo: "Io penso senz'altro che riesca a tutti evidente, come è impossibile,
senza il sussidio della preghiera, viver virtuosamente
" e acutamente concluse
sant'Agostino: "Veramente sa viver bene chi sa pregar bene
". E tali
insegnamenti Cristo medesimo consacrò con la sua parola e più ancora col suo
esempio. Poiché, per raccogliersi nella preghiera, si ritirava solitario nei
deserti o saliva sulle montagne; passava le intiere notti in questo esercizio;
era assiduo al tempio; che, anzi, anche se circondato dalle turbe, levati gli
occhi al cielo dinanzi a tutti pregava; e in fine, confitto alla croce, fra
i dolori della morte, con alto grido e lacrime volse al Padre l'ultima preghiera.
Teniamo quindi come cosa certa e definita che il sacerdote, per sostenere degnamente
il grado e ufficio, deve essere dedito in maniera esimia alla preghiera. Troppo
sovente c'è da dolersi che egli si dedichi alla preghiera più per abitudine
che per zelo, che a certe ore stabilite salmeggi con sonnolenza o preferisca
preghiere piuttosto brevi o pochine, né poi consacri più alcun frammento della
giornata a parlar con Dio, innalzandosi piamente alle cose del cielo. Mentre
invece il sacerdote più di tutti gli altri deve obbedire al precetto di Cristo:
"Si deve sempre pregare
" (Lc 18,1); conformandosi al quale san Paolo
tanto inculcava: "Siate perseveranti nell'orazione vegliando in essa, e
nei rendimenti di grazie
" (Col 4,2): "Orate sine intermissione
"
(1Ts 5,17). E invero quante occasioni si offrono di elevarsi a Dio ad un'anima
desiderosa della propria santificazione non meno che della salute degli altri!
Le angustie interiori, la forza e insistenza delle tentazioni, la povertà di
virtù, la piccolezza e sterilità delle nostre fatiche, i difetti e le negligenze
frequenti, infine il timore dei giudizi divini, tutti questi sono stimoli a
farci piangere dinanzi a Dio, col vantaggio di arricchirci di meriti al suo
cospetto, oltre che di aver impetrato la grazia, l'aiuto divino. Né solamente
per noi dobbiamo piangere. Nella colluvie di colpe che ovunque si diffonde,
a noi specialmente si addice di pregare e muovere la divina pietà e di insistere
presso Cristo, prodigo benignissimamente di ogni grazia nel mirabile sacramento
dell'altare: Perdona, Signore, perdona al tuo popolo.
Caposaldo principalissimo del profitto della virtù è il dedicare ogni giorno
una parte del nostro tempo alla meditazione delle cose eterne. Non vi è sacerdote
che se ne possa esimere, senza grave nota di negligenza e detrimento dell'anima
sua. San Bernardo scrivendo ad Eugenio III, suo antico discepolo ed allora divenuto
romano pontefice, con franchezza e viva apprensione lo ammoniva a non mai lasciare
la quotidiana meditazione delle cose divine, e a non ammettere, per dispensarsene,
alcun pretesto di occupazioni, benché molte e gravissime ne porti con sé il
supremo apostolato. E diceva di aver appunto gravi motivi di rivolgergli tali
avvertimenti per i sommi vantaggi di questo esercizio quali egli così sapientemente
enumerava: "La meditazione purifica la sorgente da cui nasce, cioè l'intelletto.
Poi regola gli affetti, indirizza gli atti, corregge i difetti, riforma i costumi,
eleva e ordina la vita: in una parola conferisce la scienza delle divine e delle
umane cose. La meditazione chiarisce le cose confuse, colma le lacune della
mente, rannoda le idee sparse, scruta i segreti, investiga la verità, esamina
il verosimile, mette a nudo la finzione e la menzogna. Essa preordina le azioni
da compiersi, essa chiama a rendiconto le già compiute affinché nulla resti
nella mente di incorretto e di ambiguo. Essa fa presentire nella prosperità
la sfortuna, nella sfortuna evita il troppo impressionarsi, e questo è infusione
di fortezza, quello di prudenza
".
Questo compendio delle grandi utilità, che la meditazione per sua natura produce, ci dice quanto sia non solamente salutare, ma pure necessaria.
Poiché, sebbene i vari uffici del sacerdozio siano augusti e venerandi tutti, la forza dell'abitudine fa sì che i destinati ad essi non vi mettano quella religiosa attenzione come si conviene.
Di qui venendo meno a poco a poco il fervore è facile il passo alla negligenza
e fino al fastidio delle cose più sacre. Aggiungasi la necessità che si impone
al sacerdote, di convivere "in mezzo ad una nazione prava
" (Fil 2,15);
così che, sovente, nello stesso esercizio della carità pastorale, egli ha da
temere stiano nascoste le insidie dell'antico serpente. Quanto è facile che
anche i cuori religiosi si velino di mondana polvere! Appare quindi quale e
quanta necessità vi sia di tornare ogni giorno alla contemplazione delle cose
del cielo, affinché la mente e la volontà si rafforzino contro le seduzioni
del mondo. Di più è compito del sacerdote di conseguire una certa facilità di
assurgere e di raccogliersi nelle cose celesti, lui che deve intendersi delle
cose celesti, insegnarle ed inculcarle ai fedeli; lui che deve condurre un tenore
di vita in una sfera superiore alla umana, così che egli compia secondo Dio
con lo spirito e la guida della fede quanto esige il suo ministero. Ora nulla
più che la meditazione quotidiana è efficace a produrre e mantenere questa disposizione,
questa quasi naturale unione con Dio; cosa che a ognuno, che abbia discernimento,
è così ovvia che non vale la pena di ragionarne di più.
Una triste conferma di quanto si è detto ci esibisce la vita di questi sacerdoti, che fanno poco conto della meditazione delle cose divine o del tutto l'hanno in fastidio. Tu vedi in loro illanguidito quell'inestimabile tesoro, mondani, seguaci di mere vanità, intrattenersi in frivolezze, accostarsi alle sacre cose tiepidi, gelidi e forse indegni. Dapprima, quando era in loro recente il carisma dell'unzione sacerdotale, preparavano lo spirito diligentemente alla recita dei salmi per non essere simili a chi tenta Dio; fissavano il tempo a ciò più opportuno, e il più remoto ritiro, si industriavano di scrutare i sensi segreti delle cose divine, lodavano Dio, gemevano, esultavano, effondevano lo spirito col Salmista. E ora invece qual cambiamento!
Quasi più nulla resta in essi di quell'ardente pietà, che un tempo dimostravano
per i divini misteri. Quanto diletti erano allora quei tabernacoli! L'anima
esultava di trovarsi intorno alla mensa del Signore e di chiamare ad essa in
gran folla i devoti. Prima della celebrazione dei sacri misteri quale mondezza!
quali preghiere partite dall'anima desiderosa! E quanta riverenza nel modo di
trattare le cose sante: quale decoro nell'eseguire le auguste cerimonie, quale
effusione di grazie dal profondo del cuore e come felicemente diffondevasi nel
popolo il soave profumo di Cristo!... "Richiamate
", ve ne preghiamo,
o figli diletti, "richiamate alla memoria quei primi giorni
" (Eb 10,32),
allora l'anima era fervorosa perché nutrita del cibo della santa meditazione.
Non manca fra quelli che hanno a fastidio o trascurano di "riflettere
in cuor loro
" (Ger 12,11), non manca chi riconosca la povertà dell'anima
sua, ma poi se ne scusi col pretesto di essersi dedicato interamente alle esigenze
sempre più attive e dinamiche del ministero, ad utilità degli altri. Ma si ingannano
miseramente. Poiché, non avvezzi a parlar con Dio, quando parlano di Dio agli
uomini o impartiscono consigli intorno alla vita cristiana, sono privi di ispirazione
divina; così che la parola di Dio è in essi quasi morta. La loro voce, per quanto
dotta e feconda, non imita la voce del buon pastore, che le pecorelle ascoltano
salutarmente; poiché strepita con inutile pompa di parole che si perde nel vuoto
ed è anzi fertile talora di dannoso esempio, non senza vergogna della religione
e scandalo dei buoni. Né altrimenti accade negli altri settori della vita attiva:
poiché nessun vantaggio di solida utilità ne ricavano o per lo meno non dura
che breve ora, mancando la rugiada celeste che scende invece copiosissima sull'"orazione
di colui che si umilia
" (cf. Sir 35,21).
E qui non possiamo non dolerci vivamente di coloro che, trascinati dal soffio
di pestifere novità, non si vergognano della loro mentalità contraria alla vita
interiore e reputano quasi perduta l'ora consacrata alla meditazione e alla
preghiera. Funesta cecità! Volesse il cielo che raccogliendosi una buona volta
in se stessi si accorgessero finalmente a quale abisso conduce questa negligenza
e disprezzo della preghiera! Di qui germoglia la superbia e la caparbietà; dalle
quali maturano troppo amari frutti, che il paterno cuore rifugge dal rammentare
quanto desidera di recidere completamente. Ascolti Iddio i nostri voti, e, benignamente
riguardando i fuorviati, effonda tanto largamente sopra di essi lo "spirito
di grazia e di orazione
" (Zc 12,10), che, a comune allegrezza, piangendo
il loro errore, ritornino sulla male abbandonata via e cautamente la seguano
per l'avvenire. Come già l'Apostolo (Fil 1,8), ci sia testimone Dio come li
amiamo tutti nelle viscere di Gesù Cristo!
Ad essi dunque e a voi tutti figli nostri, sia scolpita in mente la nostra
esortazione, che è quella di Cristo Signore: "State attenti, vegliate e
pregate
" (Mc 12,33). Principalmente nella sua meditazione ognuno ponga
la sua industria: e risvegli tutta la sua fiducia in Dio, sovente pregando:
"Signore, insegnaci a pregare
" (Lc 11,1). Né di lieve incitamento
a meditare deve esser per tutti questo speciale motivo, che dalla meditazione
nasce quella particolare luce di consiglio e quella speciale energia di virtù
che si esigono nella cura delle anime, opera sopra tutte difficilissima. Qui
cade opportuno, ricordare la pastorale esortazione di san Carlo: "Intendete,
o fratelli, che nulla è così necessario a tutti gli ecclesiastici come l'orazione
mentale la quale precede tutte le nostre azioni, le accompagna e le segue: canterò,
dice il profeta, e ben studierò e intenderò (cf. Sal 101,2). Fratello, se amministri
i sacramenti, medita su quello che fai; se celebri la Messa, medita sul sacrificio
che offerisci; se salmeggi, medita a chi parli e di che cosa; se guidi le anime,
medita da qual Sangue sono state redente
".
Perciò con ogni ragione la Chiesa ci impone di ripetere frequentemente quelle
sentenze di Davide: "Beato l'uomo che medita nella legge del Signore; vi
perdura con diletto, di giorno e di notte; tutto quello che egli farà avrà prospero
effetto
" (Sal 1,1-3). E alla meditazione ci sia di stimolo anche il pensiero
che il sacerdote è un altro Cristo; e, se è tale per partecipazione di autorità,
non dovrà essere tale per imitazione delle opere sante? "Sia dunque nostra
somma premura di meditare sulla vita di Gesù Cristo
".
Con la meditazione quotidiana delle cose divine conviene che il Sacerdote unisca
la lettura di più libri, specialmente di quelli che sono divinamente ispirati.
Così san Paolo prescriveva a Timoteo: "Attendi alla lettura
" (1Tm
4,13). Così san Girolamo, ammaestrando Nepoziano intorno alla vita sacerdotale,
inculcava: "Non deporre mai dalle tue mani il libro della sacra lettura
";
e ne soggiungeva questo motivo: "Impara ciò che devi insegnare; ottieni
quella sincera sapienza, che è nutrita di verace dottrina, affinché con essa
tu possa esortare gli altri e ribattere gli avversari
". Quanto grande è
il vantaggio di quei sacerdoti che hanno questa costante abitudine: con quale
unzione predicano Cristo e, anziché blandire gli uditori, come li spingono al
meglio e li innalzano a celesti desideri!
Ma pure eccovi un'altra prova, e che fa proprio al caso vostro, della verità
del consiglio di san Girolamo: "Sempre fra le tue mani sia la sacra lettura
". Chi non sa quanto grande sia sull'anima dell'amico la forza persuasiva dell'amico,
che candidamente ammonisca, consigli, riprenda, ecciti, rimuova dall'errore?
"Beato chi trova un vero amico
" (Sir 25,12); "chi lo trova ha
trovato un tesoro
" (Sir 6,14). Ora dobbiamo avere nel numero dei nostri
fedeli amici i libri di lettura spirituale. Essi ci ammoniscono gravemente intorno
ai nostri doveri ed ai precetti della legittima disciplina, risuscitano nell'anima
i richiami celesti prima soffocati e repressi, ci rinfacciano i propositi non
mantenuti, scuotono la coscienza addormentata in un pericoloso ottimismo; mettono
in luce le tendenze meno corrette che vorrebbero star dissimulate; scoprono
i pericoli che sogliono sorprendere i malaccorti. E tutti questi buoni uffici
prestano con una tale e tacita benevolenza, che non solo ci si mostrano amici,
ma i migliori nostri amici. Poiché li abbiamo quando ci piace, quasi al nostro
fianco, pronti ad ogni ora alle nostre necessità interiori; la loro voce non
è mai acerba, il loro consiglio non è mai determinato da volgari interessi,
la parola non mai vile o bugiarda. Sono molti ed insigni gli esempi della salutare
efficacia delle devote letture; ma nessuno sovrasta a quello di sant'Agostino,
i cui meriti eminenti verso la Chiesa presero da esse inizio ed auspicio: "Tolle,
lege; tolle, lege... Prendi, leggi; prendi, leggi... Afferrai (le lettere di
Paolo Apostolo), le apersi e lessi in silenzio... Si diffuse nel mio cuore come
una luce di sicurezza, svanirono tutte le tenebre del dubbio
".
Invece di sovente accade ai nostri tempi che ecclesiastici si lascino a poco a poco annebbiare la mente dalle tenebre del dubbio e seguano le oblique vie del mondo, e ciò specialmente perché, negletti i sacri e divini libri, si danno ad altre letture di ogni genere di libri e giornali infetti di errori pestiferi blandamente insinuatisi. Siate guardinghi, o diletti figli, non vi fidate ciecamente della vostra provetta età, né lasciatevi illudere dal pretesto di conoscere il male e così poter meglio provvedere al bene comune. Non si passino quei limiti, che stabiliscono sia le leggi della Chiesa, sia la prudenza e la carità verso se stessi; poiché una volta imbevuti di questi veleni, non possiamo più sfuggirne le funeste conseguenze.
Ma i vantaggi della lettura spirituale e della meditazione delle cose celesti
riusciranno, senza dubbio, per il sacerdote più copiosi, quando egli abbia un
mezzo con cui possa distinguere se davvero fu messo in pratica e santamente,
quanto fu oggetto di lettura e meditazione. Viene a proposito un eccellente
insegnamento del Crisostomo, rivolto specialmente al Sacerdote: "Ogni sera,
prima di abbandonarti al sonno, fa' un po' di processo alla tua coscienza, esigi
da essa il rendiconto, e se fra il giorno ti appigliasti a cattivi partiti...
sbarbicali dalla radice e determina per essi un castigo
". Quanto ciò sia
conveniente e fruttuoso per il progresso nella cristiana virtù, i più sapienti
maestri di spirito luminosamente confermano coi loro ottimi ammonimenti. Ci
piace di riferire quello insigne, che ho tolto dagli insegnamenti di san Bernardo:
"Curioso indagatore della tua irreprensibilità, esamina la tua vita con
quotidiana diligenza. Osserva attentamente di quanto progredisci o indietreggi.
Studia di conoscere te... Poni davanti agli occhi tuoi tutte le tue mancanze.
Costituisci te in giudizio dinanzi a te, quasi dinanzi ad un'altra persona;
e così deplora e colpisci te stesso
".
Anche su questo punto sarebbe veramente vergogna che si verificasse quel detto
di Cristo: "I figli di questo secolo sono più prudenti dei figli della
luce
" (Lc 16,8). Ognuno vede con quanta solerzia essi attendano ai loro
affari; come di sovente facciano e rifacciano i calcoli del dare e dell'avere:
con quale scrupolosa meticolosità facciano i loro conti e tirino le somme, come
lamentino le perdite patite ed eccitino se stessi con accaniti sforzi per risarcirle.
E a noi, a cui forse arde in cuore la brama di vane onorificenze, di accrescere
il patrimonio della famiglia, di acquistar solo fama e gloria di scienziati,
invece languidamente e con noia trattiamo l'affare massimo e sommamente arduo,
che è la nostra santificazione. Giacché appena raramente ci raccogliamo per
scrutare la nostra anima, che per conseguenza si copre di sterpi al pari della
vigna del pigro, della quale sta scritto: "Passai pel campo di un infingardo,
e per la vigna di un uomo stolto, e vidi come tutto era pieno di ortica, e le
spine l'avevano coperta quanto ella è grande, e la muraglia intorno era rovinata
"
(Pr 24,30-31).
La cosa si fa più grave per la frequenza dei mali esempi, che ne circondano, insidiosi estremamente alla virtù sacerdotale; così che è necessario camminare sempre più guardinghi e far più apertamente violenza.
Ora l'esperienza ci dice che colui, il quale esercita una censura frequente e severa sopra i suoi pensieri, parole e azioni, è più energico sia nell'odio e nella fuga del male, e sia nell'amore e nello studio del bene. Né meno ci dice l'esperienza quali danni gravissimi siano d'ordinaria conseguenza per chi evita quel tribunale, ove siede giudice la giustizia e sta accusata e accusatrice la coscienza. Invano cercheresti in lui quella circospezione, dote così lodevole del buon cristiano, di evitare anche le minori colpe e imperfezioni e quel delicatissimo scrupolo che dovrebb'essere pregio speciale del sacerdote, che si fa paventare della benché minima offesa recata a Dio.
Che anzi la negligenza e la trascuratezza di sé giunge fino all'oblio dello stesso sacramento della penitenza: del quale nulla ci diede Cristo, nella sua estrema bontà, che fosse più salutare all'umana miseria. Non si può negare ed è degno di acerbo pianto, il caso non raro di chi mentre, fulminando e terrorizzando dal pulpito, trattiene con la sfolgorante sua eloquenza gli altri dal peccare, nulla tema per sé di tutto ciò, e si indurisca nella colpa; di chi esorta e stimola gli altri, che siano solleciti a detergere col sacramento le macchie dell'anima, e lui stesso sia in ciò tanto restio e negligente e vi frapponga intervalli di più mesi; di chi sa cospargere le altrui ferite di olio e di vino, e giaccia poi egli ferito lungo la via, né si dia pensiero di invocare la mano medicatrice del fratello che gli passa vicino. Ahi! quali tristi conseguenze ne vennero e vengono tuttora, indegne al cospetto di Dio e della Chiesa, perniciose al popolo cristiano, indecorose per il ceto sacerdotale!
Quando, diletti figli, mossi da dovere di coscienza, noi volgiamo la mente
a questi gravi inconvenienti, ci si riempie l'anima di amarezza e ne erompe
una voce di lamento: guai al sacerdote che non sa mantenersi all'altezza del
suo grado, e disonora infedelmente il nome santo di Dio, che deve santificare.
Nulla è più lacrimevole della corruzione dei buoni: "Grande è la dignità
dei sacerdoti, ma grande è pure la loro rovina, se peccano; rallegriamoci dell'esservi
saliti, ma paventiamo di caderne precipitosamente; perché più grande che la
gioia di avere raggiunto le altissime vette, è l'afflizione di essere precipitato
di lassù!
".
Guai dunque al sacerdote che vive dimentico di sé, lascia la preghiera, respinge
il pascolo delle devote letture; che non torna mai sopra se stesso per ascoltare
la voce della coscienza che lo accusa. Né le ferite sanguinanti dell'anima sua,
né i pianti della madre Chiesa potranno richiamare in sé il disgraziato, affinché
non lo colpiscano quelle terribili minacce: "Acceca il cuore di questo
popolo, e instupidisci le sue orecchie e chiudi a lui gli occhi, affinché non
avvenga che coi suoi occhi egli vegga, e oda coi suoi orecchi, e col cuore comprenda
e si converta, ed io lo sani
" (Is 6,10).
Questo triste augurio allontani Dio misericordioso da ciascheduno di voi, o
diletti figli, Dio, che vede il nostro cuore scevro da qualsiasi amarezza verso
chicchessia, ma soltanto mosso all'estremo da carità di padre e di pastore:
"Qual è invero la nostra speranza, o il gaudio, o la corona di gloria?
Non lo siete voi forse dinanzi al Signore nostro Gesù Cristo?
" (1Ts 2,19).
Lo vedete del resto da voi medesimi, quanti e dovunque siate, in quali tristi tempi, per arcano consiglio di Dio, si trovi oggi la Chiesa. Osservate ancora e meditate quale sacro dovere vi incombe di assistere e soccorrere nelle sue angustie quella Chiesa, che vi insignì di una sì onorevole dignità.
Quindi nel clero ora più che mai è necessaria una più che mediocre virtù, sincera così da essere un modello, viva, operosa, prontissima a fare e patire ogni cosa per Cristo. Nulla vi è che più ardentemente noi desideriamo per voi tutti e singoli, invocandolo da Dio con ferventissime preghiere. In voi dunque fiorisca la continenza con intemerato fulgore, ornamento esimio del nostro ceto; per la cui grazia il sacerdote come è fatto simile agli angeli, così presso il popolo cristiano è reputato degno di ogni onore e coglie più copiosi i frutti del suo ministero.
Sia in voi perenne e schietta la riverenza e ubbidienza, promessa con solenne rito a coloro, che il Divino Spirito costituì reggitori della Chiesa; e soprattutto l'ossequio giustissimamente dovuto a questa Sede Apostolica congiunga a lei ogni giorno più con strettissimi vincoli le vostre menti e i vostri cuori.
Brilli in ognuno la carità che non cerca in nulla se stessa, così che rintuzzati gli stimoli dell'invidia e dell'ambizione propri dell'umana natura, i vostri sforzi cospirino unanimemente, con emulazione fraterna, all'incremento della gloria di Dio.
"Una gran turba quanto mai numerosa e degna di pietà, di malati, di ciechi,
di zoppi, di paralitici
" (Gv 5,3) aspetta i soccorsi della vostra carità;
e specialmente vi aspettano folte schiere di adolescenti, cara speranza della
patria e della religione, circondati da ogni parte da insidie e da pericoli
morali. Siate alacri nel bene, benemeriti di tutti, non solo con l'impartire
la sacra catechesi che di nuovo e con maggior vigore vi raccomandiamo, ma prestando
ogni altro possibile aiuto di consiglio e di interessamento. Alleviando, difendendo,
medicando, pacificando: questa sia la vostra mira e quasi la vostra sete, di
guadagnare e di condurre anime a Cristo. Oh! i nemici di Dio come laboriosi,
come infaticabili, come impavidi agiscono e si danno attorno, per rovinare irreparabilmente
le anime!
Specialmente per questa prerogativa della carità, la Chiesa cattolica è lieta
e orgogliosa del suo clero, che annuncia il Vangelo della cristiana pace, che
apporta salute e civiltà fino alle nazioni selvagge; ove per le sue apostoliche
fatiche, non raramente consacrate col sangue, il regno di Cristo ogni giorno
più si dilata e la santa Fede splende di sempre nuove palme. Che se, o diletti
figli, all'effusione della vostra carità corrisponda l'astio, la contesa, la
calunnia, come suole avvenire, non vogliate soccombere allo scoraggiamento,
"non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene
" (2Ts 3,13). Abbiate
dinanzi agli occhi le schiere di quei forti, insigni per numero e per meriti,
che dietro le orme degli Apostoli fra le più scabrose torture per il nome di
Cristo, "se ne andavan contenti
" (At 5,41), "maledetti benedicevano
".
Siamo – pensate – figli e fratelli di santi, i nomi dei quali splendono nel
libro della vita, le cui glorie annuncia la Chiesa: "Non si imprima questa
macchia alla nostra gloria
" (1Mac 9,10).
Riacceso ed accresciuto nelle file del clero lo spirito della grazia sacerdotale, avranno un valore ed una esecuzione molto più efficace con la grazia di Dio, i nostri propositi di restaurare tutte quante le altre cose in Cristo. Perciò ci piace di aggiungere a tutto quanto si è detto alcune norme sicure, ossia indicare i sussidi opportuni a custodire ed alimentare la grazia medesima. Primo fra di essi a nessuno ignoto, ma del quale non tutti stimano degnamente la efficacia, è il pio ritirarsi dell'anima a compiere gli esercizi spirituali; se è possibile fatto annualmente o per conto proprio, o piuttosto in unione con altri, il che suole recare più largo frutto, regolandosi secondo le prescrizioni dei Vescovi. Già noi medesimi lodammo convenientemente l'utilità di questa istituzione quando pubblicammo alcune regole ad essa relative per la disciplina del clero romano . Né sarà meno vantaggioso alle anime un consimile ritiro mensile di poche ore, in privato o in unione con altri, il qual pio costume siamo lieti di veder invalso in più luoghi, favorito dai Vescovi stessi che talora presiedono al ritiro.
Un'altra raccomandazione ancora ci sta a cuore ed è una maggiore coesione tra i sacerdoti, quale si conviene a fratelli, consolidata e regolata dall'autorità del Vescovo. È senza dubbio cosa lodevole che i Sacerdoti si uniscano in società per procurarsi uno scambievole sussidio nelle avversità, per tenere alto il prestigio e i diritti della classe e del ministero contro gli assalti degli avversari e per altri fini del genere. Ma più ancora giova che si associno a scopo di perfezionarsi nella conoscenza delle scienze sacre, e specialmente confermarsi nel santo proposito della vocazione e di promuovere la salute delle anime, con unanimità di sforzi e di iniziative.
Ci attestano gli annali della Chiesa di quali copiosi frutti fosse fecondo
un tal genere di associazioni nei tempi che i sacerdoti convenivano frequentemente
a vita comune. Perché non si potrebbe richiamare in vita qualcosa di simile
anche in questa nostra età, sia pure avendo riguardo ai luoghi e agli uffici
vari? Non si potrebbero sperare i frutti antichi a tutto gaudio della Chiesa?
Né del resto mancano società di simil genere, munite dell'approvazione dei sacri
pastori; tanto più utili quanto più presto i giovani preti vi si aggreghino
fin dal principio del loro sacerdozio. Noi medesimi ne promuovemmo una, durante
il nostro ministero vescovile, e ne sperimentammo la bontà: e quella e le altre
ora facciamo oggetto di singolare benevolenza. Di questi sussidi della grazia
sacerdotale e degli altri, che la prudente vigilanza dei Vescovi suggerisce
a seconda della opportunità, abbiate stima e ricavatene profitto affinché ogni
giorno più "camminiate in maniera conveniente alla vocazione a cui siete
stati chiamati
" (Ef 4,1), onorando il vostro ministero e compiendo in voi
la volontà di Dio, che è la vostra santificazione.
Questi sono i principali nostri pensieri e le cose, che ci stanno maggiormente
a cuore; perciò levati gli occhi al cielo, sovente ripetiamo sopra tutto al
clero le parole supplichevoli di Cristo nostro Signore: "Padre Santo...
santificali!
" (Gv 17,11-17). Ed è per noi una gioia l'avere molti dei fedeli
di ogni ceto, che si uniscono a noi in questa preghiera, appassionatamente solleciti
del bene vostro e della Chiesa; ed è pure gradito balsamo al nostro animo che
non poche sono le anime di più generosa virtù, le quali non solo nei sacri chiostri,
ma altresì in mezzo al mondo per la stessa causa vanno a gara nell'offrirsi
a Dio perenni vittime votive. Accolga il sommo Dio le pure e preziose loro preci
in profumo di soavità, né rigetti le umilissime preci nostre, clemente e provvido,
Egli, come imploriamo, ci esaudisca; e dal Cuore sacratissimo del diletto suo
Figlio diffonda sopra tutto il clero tesori di grazia, di carità e di ogni virtù.
In ultimo ci è caro rendervi grazie sincere, o diletti figli, degli auguri fausti che ci offriste in occasione del nostro Giubileo sacerdotale: e poniamo i nostri voti per voi sotto il patrocinio della Vergine Madre, Regina degli Apostoli, affinché si verifichino appieno. Ella col suo esempio insegnò alle felici primizie del sacerdozio come, coll'esempio di lei, dovessero perseverare, concordi nella preghiera, per essere rivestiti della virtù dall'alto; virtù, che assai più copiosa impetrò ad essi con le sue preghiere, e accrebbe e fortificò col consiglio, perché le loro fatiche fossero coronate dai più lieti successi.
Desideriamo intanto, diletti figli, che la pace di Cristo esulti nei vostri cuori col gaudio dello Spirito Santo, auspice l'Apostolica Benedizione che con amantissimo animo vi impartiamo.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 agosto del 1908, sesto del nostro Pontificato.
ultimo aggiornamento: 19.09.2007