Protesta solennemente contro la legislazione antireligiosa in Francia e conforta il popolo cattolico a resistere con mezzi legali, onde conservare al Paese la sua tradizione cattolica[1].
Siamo pieni d'inquietitudine e d'angoscia quando soffermiamo il pensiero su di voi. E come potrebbe essere diversamente, dopo la promulgazione della legge che, spezzando violentemente i legami secolari, con i quali la vostra Nazione era unita alla Sede Apostolica, crea alla Chiesa cattolica in Francia una situazione indegna di lei e quanto mai lamentevole?
È questo un avvenimento gravissimo; e tutte le anime buone devono deplorarlo perché è tanto funesto alla società civile, quanto alla religione; ma non deve aver sorpreso nessuno che abbia seguito con un po' d'attenzione la politica religiosa della Francia in questi ultimi anni. Per voi, Venerabili Fratelli, non sarà stato né una novità, né una sorpresa, dal momento che siete stati testimoni delle ferite così terribili e numerose inflitte a volta a volta dall'autorità pubblica alla religione. Avete visto violare la santità e l'inviolabilità del matrimonio cristiano con disposizioni legislative formalmente in contraddizione con esse; laicizzare le scuole e gli ospedali; strappare i chierici ai loro studi e alla disciplina ecclesiastica per costringerli al servizio militare; disperdere e spogliare le congregazioni religiose e ridurre la maggior parte dei loro membri all'estrema miseria. Poi sono sopravvenute altre misure legali che voi tutti conoscete: fu abrogata la legge che ordinava delle preghiere pubbliche al principio di ogni sessione parlamentare e giudiziaria; furono soppressi i tradizionali segni di lutto a bordo delle navi il Venerdì Santo; eliminato dal giuramento giudiziario ciò che gli dava il carattere religioso; bandito dai tribunali, dalle scuole, dall'armata, dalla marina, infine da tutte le istituzioni pubbliche, ogni atto o simbolo che potesse in qualche modo ricordare la religione. Queste misure ed altre ancora che a poco a poco separavano di fatto la Chiesa dallo Stato non erano niente altro che dei gradini posti allo scopo di arrivare alla separazione completa ed ufficiale: persino coloro che le hanno promosse, non hanno esitato a riconoscere questo, apertamente e frequentemente.
Per rimediare alla disgrazia così grande, la Sede Apostolica non ha risparmiato nulla. Mentre da un lato non si stancava di ammonire coloro che presiedevano gli affari francesi e li scongiurava a parecchie riprese di considerare a fondo l'immensità dei mali che infallibilmente avrebbe apportato la loro politica separatista, d'altra parte moltiplicava di fronte alla Francia le splendenti testimonianze del suo indulgente affetto.
Aveva il diritto di sperare così, in grazia dei vincoli della riconoscenza, di poter trattenere quegli uomini politici che erano sull'orlo del precipizio e di condurli alla fine a rinunciare ai loro progetti.
Ma attenzioni, sforzi, buoni uffici, tanto da parte del Nostro Predecessore che da parte Nostra, sono rimasti senza effetto. E la violenza dei nemici della religione ha finito per vincere a forza ciò a cui avevano aspirato per tanto tempo, contro i diritti di quella nazione cattolica e di tutto ciò che potevano desiderare gli spiriti che pensano saggiamente. Perciò, in quest'ora così grave per la Chiesa, nella coscienza della Nostra carica Apostolica abbiamo considerato come un dovere far udire la Nostra voce e aprire la Nostra anima a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al vostro popolo, a tutti voi che Noi abbiamo sempre circondato di una tenerezza particolare, ma che in questo momento, come è giusto, amiamo più teneramente che mai.
È una tesi assolutamente falsa, un errore pericolosissimo, pensare che bisogna separare lo Stato dalla Chiesa.
Questa opinione si basa infatti sul principio che lo Stato non deve riconoscere nessun culto religioso: ed è assolutamente ingiuriosa verso Dio, poiché il Creatore dell'uomo è anche il fondatore delle società umane e conserva nella vita tanto loro che noi, individui isolati. Perciò noi gli dobbiamo non soltanto un culto privato, ma anche un culto sociale e onori pubblici.
Inoltre questa tesi è un'ovvia negazione dell'ordine soprannaturale. Essa limita infatti l'azione dello Stato alla sola ricerca della prosperità pubblica in questa vita, cioè alla causa prossima delle società politiche; e non si occupa in nessun modo, come di cose estranee, della loro causa più profonda che è la beatitudine eterna, preparata per l'uomo alla fine di questa vita così breve. E pertanto, poiché l'ordine presente delle cose è subordinato alla conquista di quel bene supremo e assoluto, non soltanto il potere civile non dovrebbe ostacolare questa conquista, ma anzi dovrebbe aiutarci a compierla.
Questa tesi sconvolge pure l'ordine saggiamente stabilito da Dio nel mondo, ordine che esige un'armoniosa concordia tra le due società. Queste due società, la religiosa e la civile, hanno infatti i medesimi sudditi, sebbene ciascuna di esse eserciti su di loro la propria autorità nella sua sfera particolare. La conseguenza logica è che vi sono molte cose che dovranno conoscere sia l'una che l'altra, poiché sono di competenza di tutt'e due. Ora, se scompare l'accordo fra Stato e Chiesa, da queste materie comuni sorgeranno facilmente semi di discordia che diverranno molto acri da ambo le parti; la nozione della verità ne sarà turbata e le anime saranno inquiete.
Infine, questa tesi danneggia gravemente la stessa società civile, che non può essere né prospera né duratura quando non vi è posto per la religione, regolatrice suprema e sovrana maestra allorché si tratta dei diritti e dei doveri dell'uomo.
Così i Pontefici Romani non hanno tralasciato, secondo i tempi e le circostanze,
di rifiutare, di condannare la dottrina di separazione della Chiesa e dello
Stato. E notorio che il Nostro illustre Predecessore Leone XIII ha ripetutamente
e chiaramente esposto quelli che dovrebbero essere, secondo la dottrina cattolica,
i rapporti fra le due società. Fra esse, ha detto, «bisogna per forza che
intercorra una saggia unione, unione che si può giustamente paragonare a quella
che riunisce nell'uomo l'anima e il corpo
». Egli aggiunse ancora:
«Le società umane non possono senza delitto comportarsi come se Dio non esistesse,
o rifiutare di preoccuparsi della religione come se questa fosse cosa per loro
estranea o inutile... Quanto alla Chiesa, fondata da Dio stesso, escluderla
dalla vita attiva della Nazione, dalle leggi, dall'educazione dei giovani, dalla
società domestica, significa commettere un gronde e pericoloso errore
».
Se poi un qualsiasi Stato cristiano che si separi dalla Chiesa commette un'azione essenzialmente funesta e biasimevole, quanto si deve deplorare che la Francia si sia messa per questa strada, quando avrebbe dovuto entrarvi meno ancora di tutte le altre nazioni! La Francia, che nel corso dei secoli è stata l'oggetto di una così grande e singolare predilezione da parte di questa Sede Apostolica; la Francia della quale la fortuna e la gloria sono sempre state intimamente unite all'osservanza dei costumi cristiani e al rispetto della religione!
Il medesimo Pontefice Leone XIII aveva dunque molta ragione di dire: «La
Francia non saprebbe dimenticare che il suo provvidenziale destino l'ha unita
alla Santa Sede con legami troppo stretti e troppo antichi perché essa voglia
mai spezzarli. Da questa unione infatti sono uscite le sue vere grandezze e
la sua gloria più pura... Turbare questa unione tradizionale significherebbe
togliere alla Nazione stessa una porte della sua forza morale e della sua alto
influenza nel mondo
». I legami che consacravano questa unione dovevano
essere tanto più inviolabili in quanto così esigeva la fede giurata dei trattati.
Il Concordato stretto tra il Sovrano Pontefice e il governo francese, come del resto tutti i trattati dello stesso genere che gli Stati concludono fra loro, era un contratto bilaterale che obbligava ambe le parti.
Il Pontefice Romano da una parte, il capo della Nazione francese dall'altra si impegnarono dunque solennemente, tanto per loro stessi che per i loro successori, a mantenere inviolabilmente il patto che firmavano.
Ne risultava che il Concordato[2] regolava tutti i trattati internazionali, cioè i diritti delle genti, e non poteva in nessun modo essere annullato con l'azione di una sola delle parti Contraenti. La Santa Sede ha sempre osservato con fedeltà scrupolosa gli impegni che aveva sottoscritti, e in ogni tempo ha reclamato che lo Stato desse prova della stessa fedeltà. Nessuno che giudichi imparzialmente può negare questa verità.
Ora, oggi lo Stato annulla con la sua sola autorità il patto solenne che aveva concluso, e trasgredisce così alla fede giurata. E, non indietreggiando davanti a nulla per rompere con la Chiesa e liberarsi dalla sua amicizia, non esita a infliggere alla Sede Apostolica l'oltraggio che deriva da tale violazione del diritto delle genti, più di quel che esiti a turbare l'ordine sociale e politico, poiché, per la sicurezza reciproca dei loro mutui rapporti, niente interessa le nazioni quanto una fedeltà inviolabile nel sacro rispetto dei trattati.
La grande ingiuria inflitta alla Sede Apostolica con l'abrogazione del Concordato, aumenta ancora, e in modo eccezionale, se si considera la forma con la quale lo Stato ha operata l'abrogazione.
È un principio ammesso senza discussioni nel diritto delle genti e osservato da tutte le nazioni, che la rottura di un trattato debba essere preventivamente e regolarmente notificata, in maniera chiara ed esplicita, all'altra parte contraente da quella che ha intenzione di denunciare il trattato.
Ora, non solo nessuna denuncia di questo genere è stata fatta alla Santa Sede, ma neppure le è stata data alcuna indicazione in proposito. Di modo che il governo francese ha mancato di fronte alla Sede Apostolica dei riguardi ordinari e della cortesia che si usa anche agli Stati più piccoli.
E i suoi mandatari, che pure rappresentavano una Nazione cattolica, non hanno paura di disprezzare la dignità e il potere del Pontefice, Capo Supremo della Chiesa, quando avrebbero dovuto avere per quest'autorità un rispetto superiore a quello che ispirano tutte le altre Potenze politiche, e tanto più grande in quanto da un lato questa Potenza ha a che fare col bene eterno delle anime, e dall'altro si estende senza limiti ovunque.
Se esaminiamo in se stessa la legge che è stata promulgata, vi troviamo un'altra ragione di lamentarCi ancora più energicamente. Poiché lo Stato si separava dalla Chiesa spezzando i legami del Concordato, avrebbe dovuto, come logica conseguenza, lasciarle la sua indipendenza e permetterle di godersi in parte il diritto comune, nella libertà che lo Stato pretendeva di averle concesso. In realtà, niente di tutto questo è avvenuto: riscontriamo infatti nella legge parecchie eccezionali misure restrittive che mettono odiosamente la Chiesa sotto il dominio del potere civile.
Quanto a Noi, abbiamo provato grande amarezza nel vedere lo Stato invadere così delle materie che sono di competenza esclusiva del potere ecclesiastico; e ne piangiamo tanto più dolorosamente in quanto, dimentico dell'equità e della giustizia, ha creato in questo modo alla Chiesa di Francia una situazione crudelmente deprimente e opprimente per quel che riguarda i suoi sacri diritti.
Le disposizioni della nuova legge sono infatti contrarie alla Costituzione secondo la quale la Chiesa è stata fondata da Gesù Cristo. La Sacra Scrittura ci insegna, e la tradizione dei Padri ci conferma, che la Chiesa è il Corpo mistico di Gesù Cristo, Corpo retto da Pastori e da Dottori; cioè una società di uomini in seno alla quale si trovano dei capi che hanno pieni e perfetti poteri per governare, per insegnare e per giudicare (Matt. XXVIII, 18-20; XVI, 18-19; XVIII, 18; Tit. II, 15; II Cor. X, 6; XIII, 10). Ne risulta che la Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli della gerarchia, e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente distinte fra loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l'autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e che la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i suoi Pastori.
San Cipriano Martire[3] esprime ammirevolmente questa verità,
scrivendo: «Nostro Signore, i cui precetti dobbiamo riverire e osservare,
regolando la dignità vescovile e la disciplina della sua Chiesa, disse nel Vangelo,
rivolgendosi a Pietro: - Io dico a te, perché tu sei Pietro...
- ecc. Così
attraverso le vicende dei secoli e degli avvenimenti, l'ordinamento del Vescovado
e la Costituzione della Chiesa si svolgono in modo tale che la Chiesa riposa
sui Vescovi, i quali governano tutta la sua attività
».
San Cipriano sostiene che tutto ciò si fonda su una legge divina. Contrariamente a questi principi, la legge di separazione attribuisce la tutela e l'amministrazione del culto pubblico, non al corpo gerarchico divinamente istituito da Nostro Signore, ma ad un'associazione di laici. A questa associazione poi impone una forma, una personalità giuridica e per tutto quel che riguarda il culto religioso la considera come la sola che abbia dei diritti civili e delle responsabilità. Così, a questa associazione spetterà l'uso dei templi e degli edifici sacri e il possesso di tutti i beni ecclesiastici mobiliari e immobiliari; disporrà, per quanto in modo solo temporale, dei vescovati, dei presbiteri e dei seminari; amministrerà i beni, regolerà le questue e riceverà le elemosine e i legati destinati al culto religioso. Quanto al corpo gerarchico dei Pastori, se ne tace assolutamente. E se la legge prescrive che tali associazioni debbono essere costituite conformemente alle regole di organizzazione generale del culto del quale si propongono di assicurare l'esercizio, d'altra parte si ha paura di dichiarare che in tutte le contestazioni che potranno sorgere relative ai loro beni, solo il Consiglio di Stato sarà competente. Queste stesse associazioni saranno dunque, rispetto all'autorità civile, in una situazione di subordinazione; l'autorità ecclesiastica, è evidente, non avrà più su di loro alcun potere. Tutti si rendono conto alla prima occhiata di quanto tutte queste disposizioni siano offensive per la Chiesa e contrarie ai suoi diritti e alla sua costituzione divina. Senza contare che la legge non è formulata su questo punto in termini netti e precisi, si esprime in un modo vago e che può essere inteso arbitrariamente; e quindi si può temere di veder sorgere, dalla sua stessa interpretazione, le sciagure più grandi.
Inoltre questa legge è più che mai contraria alla libertà della Chiesa. Infatti, poiché, date le Associazioni di Culto, la legge di separazione impedisce ai Pastori di esercitare la piena autorità della loro carica sul popolo dei fedeli; poiché attribuisce al Consiglio di Stato la giurisdizione suprema su queste associazioni e le sottomette a tutta una serie di prescrizioni fuori del diritto comune, che rendono difficile la loro formazione e più difficile ancora la loro durata; poiché, dopo aver proclamata la libertà di culto, ne restringe l'esercizio con una quantità di eccezioni; poiché spoglia la Chiesa dell'amministrazione dei templi per investirne lo Stato; poiché impedisce la predicazione della fede e della morale cattolica e indice contro i chierici un regime penale severo e eccezionale; poiché sanziona tali disposizioni e molte altre simili, estremamente arbitrarie; che cosa fa, se non mettere la Chiesa in una soggezione umiliante e, sotto il pretesto di tutelare l'ordine pubblico, togliere a dei pacifici cittadini, che formano tuttora la grande maggioranza in Francia, il sacro diritto di praticare la loro religione? Lo Stato così offende la Chiesa, non soltanto restringendo l'esercizio del culto (al quale la legge di separazione riduce falsamente tutta l'essenziale natura della religione), ma anche ostacolando la sua influenza sempre così benefica sul popolo, e paralizzandone in mille modi l'attività. Per esempio, fra l'altro, non gli è bastato strappare alla Chiesa gli Ordini religiosi (i suoi preziosi collaboratori nel sacro ministero, nell'insegnamento, nell'educazione, nelle opere di carità cristiana), ma la priva anche delle risorse, dei mezzi umanamente necessarî alla sua esistenza e al compimento della sua missione.
Oltre ai danni e alle ingiurie che abbiamo fin qui posti in rilievo, la legge di separazione compie ancora la violazione del diritto di proprietà della Chiesa e lo calpesta. Contrariamente a tutto ciò ch'è giusto, spoglia la Chiesa di gran parte di quel patrimonio che pure le appartiene a molti e sacri titoli; sopprime e annulla tutte le pie fondazioni legalmente consacrate al culto divino o alle preghiere per i morti. Quanto ai fondi che la generosità cattolica aveva istituiti per il mantenimento delle scuole cristiane e per il funzionamento di varie opere di beneficenza e di culto, li trasferisce a delle istituzioni laiche, nelle quali invano si cercherebbe la minima traccia di religione. In questo essa non commette violazione solo dei diritti della Chiesa, ma anche della volontà formale ed esplicita dei donatori e dei testatori.
Inoltre è per Noi molto doloroso che, disprezzando tutti i diritti, la legge dichiari proprietà dello Stato, dei dipartimenti o dei comuni, tutti gli edifici ecclesiastici anteriori al Concordato. E se la legge ne concede l'uso indefinito e gratuito alle Associazioni di Culto, pone a tale concessione tante e tali riserve, che in realtà lascia al potere pubblico la libertà di disporne.
Abbiamo inoltre molte apprensioni per quel che riguarda la santità di quei templi, augusti asili della Maestà Divina, luoghi mille volte cari alla devozione del popolo francese, grazie ai loro ricordi. Poiché essi sono certamente in pericolo di essere profanati, se cadono in mani laiche.
La legge, sopprimendo la spesa del culto, esonera logicamente lo Stato dall'obbligo di provvedervi; e nello stesso tempo viola un impegno contratto in una convenzione diplomatica e offende gravemente la giustizia. Su questo punto non è possibile nessun dubbio, e i documenti storici stessi offrono la più limpida delle testimonianze: se il governo francese ha assunto nel Concordato l'incarico di assicurare ai membri del clero un trattamento che permettesse loro di provvedere convenientemente al loro mantenimento e a quello del culto religioso, non ha fatto certo tutto questo a titolo di gratuita concessione: vi si obbligò per risarcire almeno in parte i beni della Chiesa, dei quali lo Stato si era appropriato durante la prima Rivoluzione. D'altra parte, quando in quello stesso Concordato, per amor di pace, il Pontefice Romano s'impegnò, in nome Suo e dei Suoi successori, a non molestare i detentori dei beni che erano stati sottratti alla Chiesa, è certo che fece questa promessa solo alla condizione che il governo francese si impegnasse per sempre a dotare il clero in modo conveniente e a provvedere alle spese del culto divino.
Infine (e come potremmo tacere su questo punto?), al di fuori dei danni che porta agli interessi della Chiesa, la nuova legge sarà anche molto funesta al vostro Paese. Non c'è da dubitare infatti ch'essa rovina dolorosamente l'unione e la concordia delle anime senza la quale unione e concordia nessuna nazione può vivere e prosperare. Ecco perché, soprattutto nella situazione presente dell'Europa, quest'armonia perfetta è l'oggetto dei desideri più ardenti di tutti i francesi che amano veramente il loro Paese e hanno a cuore la salvezza della patria. Quanto a Noi, seguendo l'esempio del Nostro Predecessore ed ereditando il suo particolare affetto per la vostra nazione, Ci siamo naturalmente sforzati in tutti i modi per mantenere alla religione dei vostri avi l'integrale possesso di tutti i suoi diritti fra voi: ma nello stesso tempo abbiamo sempre lavorato per rafforzarvi tutti nell'unione, mirando a quella pace fraterna della quale il vincolo più stretto è certamente la religione. Così con la più viva angoscia abbiamo visto il governo francese compiere un atto che, suscitando sul terreno religioso passioni già funestamente eccitate, sembra destinato a sconvolgere tutto il vostro Paese.
Perciò, ricordandoCi del Nostro ufficio Apostolico, e coscienti dell'imperioso dovere che Ci comanda di difendere contro ogni attacco e di mantenere nella loro integrità assoluta i diritti inviolabili e sacri della Chiesa, in virtù dell'autorità assoluta che Iddio Ci ha conferito, Noi, per i motivi sopra esposti, riproviamo e condanniamo la legge votata in Francia sulla separazione della Chiesa e dello Stato, come profondamente ingiuriosa rispetto a Dio che essa rinnega ufficialmente ponendo il principio che la Repubblica non riconosce nessun culto. La riproviamo e la condanniamo come votata in violazione del diritto naturale, del diritto delle genti e della fede pubblica dovuta ai trattati; come contraria alla costituzione divina della Chiesa, ai suoi diritti essenziali e alla sua libertà; come rovesciante la giustizia e calpestante i diritti di proprietà della Chiesa, acquistati per molti titoli e per di più in virtù del Concordato. La riproviamo e la condanniamo come gravemente offensiva per la dignità di questa Sede Apostolica, per la Nostra persona, per il Vescovato, per il clero e per tutti i cattolici francesi.
Di conseguenza, Noi protestiamo solennemente e con tutte le Nostre forze contro la proposta, l'approvazione e la promulgazione di quella legge, dichiarando che non potrà mai essere allegata per far crollare i diritti imprescrittibili e immutabili della Chiesa.
Noi dobbiamo rivolgere e fare intendere queste gravi parole a voi, Venerabili Fratelli, al popolo francese e a tutto il mondo cristiano, per denunciare quanto è accaduto. Come abbiamo già detto, profonda è la Nostra tristezza, se misuriamo con lo sguardo i mali che questa legge sta per scatenare su un popolo cosi teneramente amato da Noi. E ancora più profondamente Ci turba il pensiero delle pene, delle sofferenze, delle tribolazioni di ogni genere che incalzano anche voi, Venerabili Fratelli, e tutto il vostro clero. Ma per evitare, in mezzo a tante inquietudini, eccessi di tristezza e momenti di scoraggiamento, abbiamo il ricordo della Provvidenza Divina, sempre misericordiosa, e la speranza mille volte realizzata che Gesù non abbandonerà la Sua Chiesa, che non la priverà mai del Suo forte appoggio. Così, Noi non abbiamo alcun timore per la Chiesa. La sua forza, come la sua immutabile stabilità, è divina: l'esperienza dei secoli lo attesta gloriosamente. Tutti conoscono infatti le innumerevoli sciagure, una più tremenda dell'altra, che si sono riversate su di lei in tutta la sua lunga storia: e là dove ogni istituzione puramente umana avrebbe dovuto soccombere, la Chiesa ha sempre acquistato nelle prove una forza più vigorosa e una più feconda opulenza.
Quanto alle leggi dirette a perseguitarla, la storia insegna, e la Francia stessa in tempi abbastanza recenti ha attestato che tali leggi, nate dall'odio, finiscono sempre per essere saggiamente abrogate, quando diviene palese il danno che ne deriva agli Stati. Piaccia a Dio che coloro che in questo momento sono al potere in Francia, seguano presto a tale riguardo l'esempio di coloro che in questo li precedettero! Piaccia a Dio che, applauditi da tutti i buoni, essi non tardino a rendere alla religione, sorgente di civiltà e di prosperità per i popoli, gli onori che le sono dovuti e la libertà.
In attesa, e per tutto il tempo della persecuzione, i figli della Chiesa «rivestiti
con armi di luce
» (Rom. XIII, 12), dovranno agire con tutte
le loro forze per la verità e la giustizia; è il loro dovere sempre, e oggi
più che mai.
In queste sante lotte, o Venerabili Fratelli, voi che dovete essere i maestri e i duci di tutti gli altri, apporterete tutto l'ardore di quello zelo vigile e infaticabile del quale in ogni tempo i Vescovi francesi hanno fornito a loro lode prove così ben conosciute da tutti. Ma soprattutto Noi vogliamo (poiché è cosa di suprema importanza) che in tutto ciò che intraprenderete per la difesa della Chiesa, vi sforziate di realizzare una perfetta unione di cuore e di volontà.
Siamo fermamente decisi a darvi a tempo opportuno delle istruzioni pratiche, perché vi servano di regola di condotta sicura, in mezzo alle grandi difficoltà del momento attuale; e siamo sicuri fin da ora che ad esse vi conformerete fedelmente. Proseguite ciononostante la vostra opera salutare; ravvivate il più possibile la pietà tra i fedeli; promuovete e divulgate sempre di più l'insegnamento della dottrina Cristiana; preservate tutte le anime Che vi so no affidate dagli errori e dalle seduzioni che oggi s'incontrano dappertutto: istruite, prevenite, incoraggiate, consolate il vostro gregge, adempite infine, rispetto a questo, tutti i doveri che vi impone la vostra carica pastorale. In quest'opera, il vostro clero vi sarà certamente collaboratore infaticabile; è ricco di uomini notevoli per devozione, scienza, attaccamento alla Sede Apostolica, e sappiamo che è sempre pronto a dedicarsi completamente, sotto la vostra guida, al trionfo della Chiesa e alla salvezza eterna del prossimo.
Inoltre i membri del vostro clero comprenderanno di certo che in questa bufera debbono essere animati dagli stessi sentimenti che furono un tempo nel cuore degli Apostoli; saranno felici di essere stati ritenuti degni di soffrire persecuzioni per il nome di Gesù (Act. V, 41). Rivendicheranno dunque valorosamente i diritti e la libertà della Chiesa, ma senza offendere alcuno. Inoltre, badando a conservare la carità, come è dovere soprattutto dei ministri di Gesù Cristo risponderanno all'iniquità con la giustizia, agli oltraggi con la dolcezza e ai maltrattamenti con le buone azioni.
E ora Ci rivolgiamo a voi, Cattolici di Francia; che la Nostra parola giunga a voi tutti come testimonianza della tenera benevolenza con la quale Noi continuiamo ad amare il vostro Paese, e come un conforto in mezzo alle terribili sciagure che dovrete subire. Voi conoscete lo scopo delle empie sètte che curvano le vostre teste sotto il loro giogo, poiché tale scopo esse stesse l'han dichiarato con cinica audacia: decattolicizzare la Francia. Esse vogliono sradicare completamente dai vostri cuori la fede che ha coperti di gloria i vostri padri, che ha fatto grande e prospera la vostra patria fra le altre nazioni, che vi sostiene nella prova, che conserva la tranquillità e la pace del vostro focolare e che vi apre la strada verso l'eterna felicità. Con tutta la vostra anima, voi lo capite, dovete difendere questa fede: ma siate persuasi che ogni fatica, ogni sforzo sarà vano se voi tenterete di respingere gli assalti senza essere fortemente uniti. Abolite dunque tutti i germi di discordia, se fra voi ve ne sono. E fate in modo, che, sia nel pensiero come nell'azione, la vostra unione sia cosi salda, quale dev'essere fra uomini che combattono per la medesima causa, soprattutto se questa causa è di quelle per il trionfo delle quali ciascuno deve sacrificare volentieri una parte delle proprie opinioni. Se volete, nel limite delle vostre forze, e come è vostro imperioso dovere, salvare la religione dei vostri padri dai pericoli che corre, bisogna assolutamente che spieghiate grande valore e generosità. Noi siamo sicuri che voi avete tale generosità; e mostrandovi generosi verso i ministri di Dio, indurrete Dio a mostrarsi sempre più generoso verso di voi.
Quanto alla difesa della religione, se volete intraprenderla in modo degno di lei e proseguirla bene e utilmente, due cose soprattutto importano dovete prima di tutto conformarvi così fedelmente ai precetti della legge cristiana che le vostre azioni e tutta la vostra vita onorino la fede che professate; inoltre dovete restare strettamente uniti a coloro che hanno il dovere di vegliare quaggiù sulla religione, ai vostri sacerdoti, ai Vescovi e soprattutto alla Sede Apostolica, che è il centro della fede cattolica e di tutto ciò che si può fare in nome di questa. Così armati per la lotta, marciate senza timore alla difesa della Chiesa; ma abbiate cura che la vostra fiducia sia tutta in Dio, in quel Dio del quale andrete a sostenere la causa, e pregatelo senza stancarvi perché vi aiuti
Quanto a Noi, saremo uniti a voi col cuore e con l'animo per tutto il tempo in cui dovrete lottare contro il pericolo; divideremo con voi tutto: fatiche, pene, sofferenze; e mentre rivolgeremo a Dio, fondatore e protettore della Chiesa, le più umili e insistenti preghiere, lo supplicheremo di chinare sulla Francia uno sguardo misericordioso, di strapparla alla burrasca scatenata attorno a lei, e di renderla presto, per intercessione di Maria Immacolata, alla pace e alla tranquillità.
Come augurio di queste grazie Celesti e per testimoniarvi il Nostro particolare affetto, con tutto il cuore impartiamo l'Apostolica Benedizione a voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e a tutto il popolo francese.
Roma, presso San Pietro, l'11 febbraio 1906, anno III del Nostro Pontificato.
Pio PP. X
[1] La legislazione francese che ha provocato questa enciclica è ben nota. Nei tempi moderni, i rapporti fra lo Stato e la religione sono stati regolati in tre modi: l'unione come in Inghilterra e nella Russia zarista; la separazione come nella Costituzione degli Stati Uniti e del Belgio; infine negli Stati a popolazione preponderantemente cattolica, si è applicato un sistema intermedio, quello dei concordati con i quali sono regolati i rapporti fra lo Stato e la Chiesa (Spagna, Austria, Italia ed altri). Con la Francia, dopo il periodo rivoluzionario della separazione, si era addivenuti al Concordato del 15 luglio 1801, stipulato fra Napoleone Primo Console e il Pontefice. Le alterne vicende della politica francese durante il secolo XIX non avevano mutato i patti sostanziali di quel Concordato fino al 1905, quando venivano approvate le leggi Combes per la separazione, a seguito di una tenace campagna delle sinistre democratiche, che attribuivano alla Chiesa l'ostilità al regime repubblicano, campagna che era giunta a manifestazioni clamorose durante «l'affare Dreyfus». La legge di separazione, che portava, ad una assoluta laicizzazione della vita pubblica francese, riconducendo la religione ad un fatto privato, regolato perciò dalle leggi normative della attività individuale od associata, desta l'accorata protesta del Pontefice che giudica d'altra parte con pessimismo, come i fatti successivi hanno ampiamente dimostrato, le conseguenze per la religione del regime di separazione.
[2] Il Concordato stipulato fra Napoleone e Pio VII, che qui viene ricordato, fu voluto dal Primo Console: e questa sua iniziativa corrisponde ad un immediato programma di conquista del consenso della popolazione rurale della Francia che nonostante la bufera giacobina, era rimasta immutabilmente legata a sua fede. Dopo la battaglia di Marengo Napoleone assiste a Milano al Te Deum in Duomo e pochi giorni dopo a Vercelli si incontra con il cardinale Martiniano e gli espone la sua intenzione di regolare con il Pontefice le cose religiose di Francia. Si inizia così quella politica difficilissima, fra le opposizioni dei rivoluzionari e le frettolose audacie dei reazionari, che Napoleone conduce con abilità veramente eccezionale (Vedasi su questo argomento l'opera di Albert Vandol: L'événement de Bonaparte) e che porta al Concordato; da esso il cattolicesimo trae il vantaggio di riprendere la sua possibilità di vita in Francia donde la Rivoluzione l'aveva bandito, e Napoleone traeva il consenso di quella parte del popolo francese che la Rivoluzione aveva combattuto soprattutto per il suo carattere antireligioso.
[3] Su questo Padre della Chiesa, v. nota all'enciclica «Diu Satis» dl Pio VII (1800). Le sue opere, scritte fra lo scatenarsi degli scismi e delle controversie, sono ancora oggi testi insuperati per alcune massime fondamentali in esse contenute: si ricordano gli scritti De Unitate Ecclesiae dal qua è tratta la citazione, De Lapsis, ed altri.
ultimo aggiornamento: 14.08.2007