AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI ED ALTRI ORDINARI AVENTI PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA
Venerabili Fratelli,salute ed apostolica benedizione.
In troppo ingrati e difficili tempi le disposizioni arcane
della provvidenza divina hanno sollevato la Nostra pochezza all'officio di Pastore
supremo dell'universo gregge di Gesù Cristo. L'uomo inimico già da lunga stagione
si aggira intorno a questo gregge, e lo va così insidiando con sottilissima
astuzia, che or più che mai sembra verificato ciò che l'Apostolo prediceva ai
maggiorenti della Chiesa di Efeso: «Io so che entreranno fra voi lupi rapaci
che non perdoneranno all'ovile
» (Act. XX, 29). Del quale religioso decadimento
coloro, che nutrono tuttora zelo della gloria di Dio, vanno indagando le ragioni
e le cause; e mentre altri altre ne assegnano, conforme all'opinar di ciascuno,
diverse son le vie che seguono per tutelare e ristabilire il regno di Dio sulla
terra. A Noi, Venerabili fratelli, checché sia di altre cagioni, sembra di preferenza
dover convenire con coloro che la radice precipua dell'odierno rilassamento
e quasi insensibilità degli animi e dei gravissimi mali che quindi si derivano,
ripongono nell'ignoranza delle cose divine. Il che risponde pienamente a quello
che Dio stesso affermò pel profeta Osea: «... E non è scienza di Dio sulla terra.
La maledizione, la menzogna, e l'omicidio, e il furto, e l'adulterio dilagarono,
e il sangue toccò il sangue. Perciò piangerà la terra e verrà meno chiunque
abita in essa
» (Os. IV, 1 ss.).
E che infatti fra i cristiani dei nostri giorni sieno moltissimi
quelli i quali vivono in una estrema ignoranza delle cose necessarie a sapersi
per la eterna salute, è lamento oggimai comune, e purtroppo! lamento giustissimo.
E quando diciamo fra i cristiani, non intendiamo solamente della plebe o di
persone di ceto inferiore, scusabili talvolta, perché, soggetti al comando d'
inumani padroni, appena è che abbian agio di pensare a sè ed ai propri vantaggi:
ma altresì e sopratutto di coloro, che pur non mancando d'ingegno e di coltura,
mentre delle profane cose sono conoscentissinìi, vivono spensierati e come a
caso in ordine alla religione. Può dirsi appena di quali profonde tenebre questi
tali sien circondati; e ciò che più accuora, tranquillamente vi si mantengono!
Niun pensiero quasi sorge loro di Dio autore e moderatore dell'universo e di
quanto insegna la Fede cristiana. E conseguentemente, sono cose affatto ignote
per essi e l'Incarnazione del Verbo di Dio, e l'opera di redenzione dell'uman
genere da lui compiuta; e la Grazia che è pur il mezzo precipuo pel conseguimento
dei beni eterni, e il santo Sacrificio e i Sacramenti, pei quali la detta grazia
si acquista e conserva. Nulla poi apprezzano la malizia e turpitudine del peccato,
e quindi non hanno affatto pensiero di evitarlo o di liberarsene; e così si
giunge al giorno supremo, talché il ministro di Dio, acciò non manchi una qualche
speranza di salute, è costretto ad usare dei momenti estremi, che dovrebbero
tutti impiegarsi nel fomentare la carità verso Dio, nel dare una sommaria istruzione
delle cose indispensabili a salute; se pure, ciò che sovente interviene, l'infermo
non sia talmente schiavo di colpevole ignoranza, da credere superflua l'opera
del sacerdote, e senza riconciliarsi con Dio, affronti tranquillo il viaggio
tremendo dell'eternità. Onde è che il Nostro predecessore Benedetto XIV giustamente
scrisse: «Questo asseveriamo, che la maggior parte di coloro, che san dannati
agli eterni supplizi, incontrano quella perpetua sventura per ignoranza dei
misteri della fede, che necessariamente si debbono sapere e credere per essere
ascritti fra gli eletti
» (Instit. XXVI, 18).
Ciò posto, Venerabili Fratelli, qual meraviglia che si veda
oggi nel mondo, e non già diciamo fra i barbari, ma in mezzo alle nazioni cristiane,
e cresca ogni giorno più la corruttela dei costumi e la depravazione delle abitudini?
Intimava l'Apostolo scrivendo agli Efesii: «La fornicazione poi ed ogni immondezza,
o l'avarizia, neppur si nomini fra voi, come si addice ai santi: o la turpitudine,
o lo stoltiloquio
» (Ephes. V, 3 s.).
Ma egli a fondamento di questa santità e del pudore, che
infrena le passioni, poneva la sapienza soprannaturale: «Guardate dunque, o
fratelli, come dobbiate camminar cautamente non quasi stolti, ma come sapienti.
Perciò non vogliate essere spensierati, ma intendete bene quale sia la volontà
di Dio
» (Ibid. 15 ss.).
E ciò con ragione. Infatti la volontà umana conserva appena
alcun che di quell'amore dell'onesto e del retto, che Dio creatore le infuse
e che quasi la trascinava al bene non apparente ma verace. Depravata per la
corruzione della colpa primiera, e pressoché dimentica di Dio, suo autore, gli
affetti suoi rivolge quasi tutti all'amore della vanità e alla ricerca del mendacio.
- Fa quindi mestieri a questa volontà fuorviata ed accecata dalle perverse passioni,
assegnare una guida, che la scorga perché torni sui male abbandonati sentieri
della giustizia. E la guida, non liberamente scelta, ma destinata dalla natura
è l'intelletto appunto. Il quale, pertanto, se manchi di vera luce, cioè della
cognizione delle cose divine, sarà come un cieco che presti il braccio ad altro
cieco, e cadranno entrambi nella fossa. Il santo Davide, lodando Iddio della
luce di verità da lui riverberata sulle nostre menti, diceva: «Signore, il lume
del volto tuo è segnato sopra di noi
» (Ps. IV, 7).
E la conseguenza di questa luce indicò qual fosse, aggiungendo: «Hai
infuso allegrezza nel mio cuore
»; quell'allegrezza cioè che dilatandoci
il cuore, fa che corra la via dei divini comandamenti.
E che sia difatto così, apparisce manifesto a chi per poco
rifletta. Imperocché la dottrina di Gesù Cristo ci disvela Iddio e le infinite
perfezioni di lui con assai maggior chiarezza che non lo manifesti il lume
naturale dell' umano intelletto. Ma poi? quella stessa dottrina ci impone di
onorare Dio con la fede, che è ossequio della mente; colla speranza che è ossequio
della volontà; colla carità che è ossequio del cuore; e per tal guisa lega tutto
l'uomo e lo soggetta al suo supremo Fattore e Moderatore. Parimente la dottrina
di Cristo è la sola che ci manifesti la vera ed altissima dignità dell'uomo,
additandocelo come figlio del Padre celeste che è nei cieli, fatto ad immagine
di lui e destinato a vivere con lui eternamente beato. Ma da questa stessa dignità
e dalla cognizione della medesima Cristo deduce l'obbligo per gli uomini di
amor vicendevole come fratelli ch'ei sono, prescrive loro di vivere quaggiù
come si avviene a figliuoli della luce «non in bagordi ed ubbriachezze, non
in mollezze ed impudicizie, non in risse ed invidie
» (Rom. XIII, 13); li obbliga
inoltre a riporre in Dio ogni sollecitudine giacché egli ha cura di noi; comanda
di stendere la mano soccorritrice al povero, di far bene a quei che ci fan male,
di anteporre i vantaggi eterni dell'anima ai beni fugaci del tempo. E per non
discendere in tutto al particolare, non è la dottrina di Gesù Cristo che all'uomo,
il quale vive di orgoglio, ispira ed impone l'umiltà, origine di gloria verace?
«Chiunque si umilierà... questi è il più grande nel regno dei cieli
» (Matth.,
XVIII, 4). Dalla stessa dottrina apprendiamo la prudenza dello spirito, per
cui fuggiamo la prudenza della carne: la giustizia, per cui rendiamo il suo
diritto ad ognuno; la fortezza che ci fa pronti a patir tutto, e colla quale,
con animo generoso, patiamo di fatto ogni cosa per Iddio e per l'eterna felicità;
e finalmente la temperanza, con cui giungiamo ad amare financo la povertà, ci
gloriamo anzi della croce, non curando il disprezzo. Sta insomma che la scienza
del cristianesimo non è solo fonte di luce all'intelletto per la consecuzione
del vero, ma fonte eziandio di calore alla volontà, con cui ci solleviamo a
Dio e con lui ci uniamo per la pratica delle virtù.
Con ciò siamo ben lungi dal dire che, anche colla scienza della religione, non possa unirsi volontà perversa e sregolatezza di costume. Piacesse a Dio che nol provassero anche troppo i fatti! Sosteniamo però che non potrà mai esser retta la volontà né buono il costume, qualora l'intelletto sia schiavo di crassa ignoranza. Chi ad occhi aperti procede, può certamente uscire dal retto sentiero: ma chi è colto da cecità, è sicuro di andare incontro al pericolo.
Aggiungasi di più che la perversità del costume, ove non sia del tutto estinto il lume della fede, lascia sempre a sperare un ravvedimento; laddove, se alla corruzione del costume si congiunge per effetto dell'ignoranza, la mancanza della fede, il male appena ammette rimedio, ed è aperta la via all'eterna rovina.
Tanti adunque e sì gravi essendo i danni provenienti dalla
ignoranza delle cose di religione; e tanta, da altra parte, essendo la necessità
e l'utilità dell'istruzione religiosa, giacché non potrà mai adempiere i doveri
del cristiano chi non li conosca; resta a cercare, a chi poi si spetti di eliminare
dagli animi sifatta ignoranza, e chi abbia il dovere di comunicare alle anime
una scienza così necessaria. - E qui, Venerabili Fratelli, non vi ha punto luogo
a dubitazioni; giacché questo gravissimo dovere incombe a quanti sono Pastori
di anime. Ad essi, per comandamento di Cristo, è imposto di conoscere e di pascere
le pecorelle affidate; ora il pascere importa in primo luogo l'insegnare: «Io
vi darò
», così Dio prometteva per Geremia, «pastori secondo il cuor mio, e vi
pasceranno colla scienza e colla dottrina
» (Ier. III, 15). Per la qual cosa
l'Apostolo San Paolo diceva: «Non mi ha Cristo mandato per battezzare, ma per
evangelizzare
» (I Cor. I, 17); volendo cioè indicare, che il primo officio di
quanti, in qualche misura, sono posti a reggere la Chiesa, è di istruire nella
sacra dottrina i fedeli.
Della quale istruzione ci sembra non necessario dir qui le lodi, e mostrare di quanto merito sia al cospetto di Dio.
Certo l'elemosina, con cui solleviamo le angustie dei poverelli,
è dal Signore altamente encomiata. Ma chi vorrà negare che encomio di gran lunga
maggiore si debba allo zelo ed alla fatica, onde si procacciano, non già passeggeri
vantaggi ai corpi, ma, coll'insegnare ed ammonire, eterni beni alle anime? Nulla
per verità è più desiderato e caro a Gesù Cristo salvatore delle anime; il quale,
per bocca di Isaia, volle di sé affermare: «Io sono stato mandato per evangelizzare
i poveri
» (Luc. IV, 18).
Ma, pel presente scopo, meglio è soffermarci ad un punto,
e su di esso insistere, non esservi cioè per chiunque sia sacerdote né dovere
più grave, né più stretto obbligo di questo. E per fermo chi è il quale nieghi
nel sacerdote alla santità della vita debba andare congiunta la scienza? «Le
labbra del sacerdote custodiranno la scienza
» (Malach. II, 7).
E la Chiesa infatti severissimamente la richiede in coloro,
che devono essere assunti al ministero sacerdotale. E perché mai? perché da
loro aspetta il popolo cristiano di conoscere la legge divina, e sono essi perciò
mandati da Dio: «E ricercheranno la legge dalla bocca di lui, perché egli è
l'angelo del Signore degli eserciti
» (Ibid.). Per la qual cosa il Vescovo, nella
sacra ordinazione, parlando agli ordinandi, dice loro: «Sia la vostra dottrina
spirituale medicina al popolo di Dio: sieno provvidi cooperatori dell' ordine
nostro; affinché meditando giorno e notte nella sua legge, credano quello che
avranno letto, ed insegnino ciò che avranno creduto
» (Pontif. Rom.).
Che se ciò vale di qualsiasi sacerdote, che dovrà poi pensarsi
di coloro, che insigniti del titolo e dell'autorità di parrochi, in forza del
loro grado e quasi per contratto, hanno officio di reggitori delle anime? Essi,
in certa misura, sono da annoverarsi fra i pastori e dottori che Cristo assegnò,
affinché i fedeli non sieno a guisa di pargoli fluttuanti e non sieno, per nequizia
degli uomini, aggirati da ogni vento di dottrina; «ma operando la verità nella
carità, crescano per ogni cosa in colui, che è il capo, Cristo
» (Ephes. IV,
14, 15).
Per la qual cosa il sacrosanto Concilio di Trento (Sess. V, cap. 2 de ref.; Sess. XXII, cap. 8; Sess. XXIV, cap. 4 et 7 de ref.), trattando dei pastori delle anime, pone per loro primo e massimo dovere l'istruzione dei fedeli. Quindi ordina ai medesimi che almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni parlino al popolo delle verità religiose, e quotidianamente, o almeno tre volte per settimana, facciano altrettanto nei sacri tempi dell'Avvento e della Quaresima. Non basta: aggiunge inoltre essere tenuti i parrochi, almeno nelle domeniche e nei giorni festivi, ad istruire, o per sé, o per mezzo di altri, nei principi della fede e nell'obbedienza a Dio ed ai genitori i fanciulli (Ibid. cap. 7).
E quando poi debbono amministrarsi i sacramenti, prescrive che si spieghi, secondo l'intelligenza di quelli che stanno per riceverli, ed in lingua volgare, la virtù dei medesimi.
Le quali prescrizioni del sacrosanto Concilio il Nostro predecessore
Benedetto XIV, nella sua Costituzione Etsi minime, riassume e meglio determinò
colle seguenti parole: «Due specialmente sono gli obblighi che dal Sinodo Tridentino
furono imposti a chi ha cura delle anime: l'uno che nei giorni festivi parlino
al popolo delle cose divine; l'altro che istruiscano nei rudimenti della legge
di Dio e della fede i fanciulli ed i rozzi
». E giustamente quel sapientissimo
Pontefice distingue questo doppio dovere, del sermone cioè, che volgarmente
chiamano spiegazione del Vangelo, e del catechismo. Imperocché forse non mancano
di coloro, che a diminuir fatica, si persuadano che la spiegazione del Vangelo
possa tener luogo dell'istruzione catechistica. Il qual giudizio ognun vede
quanto sia errato. Imperocché il discorso, che si fa sul Vangelo, si rivolge
a coloro che si suppongono istruiti nei rudimenti della fede. È il pane, per
dir così, che si spezza a chi è già adulto. È istruzione catechistica invece
è quel latte, cui l'Apostolo S. Pietro voleva che desiderassero con semplicità
i fedeli quasi fanciulli testé generati. Questo infatti e non altro è il compito
del catechista, tôrre a trattare una verità o di fede o di morale cristiana
e spiegarla in ogni sua parte; e poiché il fine dell'insegnare è sempre la riforma
della vita, è d'uopo ch'ei faccia un confronto fra quello che da noi esige il
Signore, e quello che difatto si opera; quindi per mezzo di esempî opportuni,
tratti sapientemente dalle Sante Scritture o dalla Storia ecclesiastica o dagli
atti dei Santi, persuadere e quasi mostrare a dito come debbansi conformare
i costumi; e conchiudere in fine con esortazione efficace, affinché gli uditori
si muovano a detestazione e fuga del vizio e all' esercizio della virtù.
Sappiamo che l'officio di catechista da molti non è ben visto,
perché comunemente non è stimato gran fatto ed è poco acconcio ad accattarsi
plauso. Ma questo, a Nostro avviso, è un giudizio nato da leggerezza e non da
verità. Noi senza dubbio ammettiamo che siano degni di lode quei sacri oratori,
che si dedicano con sincero zelo della gloria di Dio sia alla difesa ed al mantenimento
della fede, sia all'encomio degli eroi del cristianesimo. Ma la fatica di costoro
ne suppone un'altra, quella cioè dei catechisti; la quale ove manchi, mancano
i fondamenti, e faticano indarno coloro che edificano la casa. Troppo spesso
i fioriti sermoni che riscuotono il plauso degli affollati uditori, riescono
semplicemente ad accarezzar gli orecchi; non commuovono affatto gli animi. Per
lo contrario l'istruzione catechistica benché piana e semplice, è quella parola,
di cui Dio stesso dice in Isaia: «Come scende la pioggia e la neve dal cielo,
e là più non torna, ma innebria la terra, e la penetra, e la fa germinare, e
dà semenza al seminatore, e pane al famelico, così sarà la mia parola che uscirà
dalla mia bocca: non tornerà a me vuota, ma opererà quanto io volli, e sarà
prosperata nelle cose per le quali io l'ho mandata
» (Is. LV, 10, 11). Similmente
pensiamo doversi dire di tutti quei sacerdoti, i quali ad illustrare le verità
religiose, compongono libri di gran fatica; degni perciò di essere assai commendati.
Ma quanti sono poi coloro che leggono siffatti volumi e ne traggono frutto rispondente
ai sudori ed alla brama di chi li scrisse? Laddove l'insegnamento del catechismo,
se si faccia a dovere, non è mai che non rechi vantaggio a chi ascolti.
Giacché, giova ripeterlo per eccitare lo zelo dei ministri
del santuario, troppi sono adesso coloro, ed ogni dì ne cresce il numero, i
quali ignorano affatto le verità religiose o di Dio e della fede cristiana hanno
soltanto quella scienza la quale permette loro di vivere a mo' d'idolatri in
mezzo alla luce stessa del cristianesimo. Quanti sono, né già soli giovanetti,
ma adulti ancora e vecchi cadenti, i quali ignorano affatto i principali misteri
della fede; i quali udito il nome di Cristo rispondano: «Chi é... perché debba
credere in lui
?» (Ioan. IX, 36). In conseguenza di ciò non si recano punto a
coscienza eccitare e nutrire odî contro del prossimo, fare ingiustissimi contratti,
darsi a disoneste speculazioni, imposessarsi dell'altrui con ingenti usure,
e simili malvagità. Di più, ignorano come la legge di Cristo, non solo proscrive
le turpi azioni ma condanni altresì il pensarle avvertentemente e desiderarle;
e rattenuti forse da un motivo qualsiasi dall'abbandonarsi ai sensuali diletti,
si pascono, senza scrupolo di sorta, di pessime cogitazioni; moltiplicando i
peccati più che i capelli del capo. Né di questo genere, torniamo anche a dirlo,
si trovano solamente fra i poveri figli del popolo o nelle campagne, ma altresì
e forse in numero maggiore fra le persone di ceti più elevati e pur fra coloro
cui gonfia la scienza, e che poggiati su d'una vana erudizione, credono di poter
prendere in ridicolo la religione e «bestemmiano quello che ignorano
» (Iud.
10).
Or se è vano aspettare raccolta da una terra, in cui non
sia stata deposta la semenza, in qual modo potranno sperarsi più costumate generazioni,
se non siano istruite per tempo nella dottrina di Gesù Cristo? Dal che segue,
che, languendo ai dì nostri ed essendo in molti quasi svanita la fede, convien
conchiudere adempiersi assai superficialmente, se non anche del tutto trascurarsi,
il dovere dell'insegnamento del catechismo. Né vale, per iscusarsi, il dire
che la fede è un dono gratuito comunicato a ciacuno nel santo Battesimo. Sì,
tutti i battezzati in Cristo hanno infuso l'abito della fede: ma questo germe
divinissimo, non «si sviluppa né mette ampî rami
» (Marc. IV, 32) abbandonato
a se stesso e quasi per virtù nativa. Anche l'uomo, nascendo, porta in sé la
facoltà d'intendere; pure ha bisogno della parola della madre, che quasi la
risvegli e la faccia, come dicesi, uscire in atto. Non altrimenti il cristiano,
rinascendo per l'acqua e lo Spirito Santo, porta in sé la fede; ma gli è mestieri
della parola della Chiesa che la fecondi, la sviluppi e la faccia fruttificare.
Perciò scriveva l'Apostolo: «La Fede è dall'udito, l'udito poi per la parola
di Dio
» (Rom. X, 17) e per mostrare la necessità dell'insegnamento, aggiunge:
«Come udiranno, se non vi sia chi predichi?
» (Ibid. 14).
Che se dalle cose premesse apparisce manifesta la somma importanza
dell'insegnamento religioso; somma altresì deve essere la Nostra sollecitudine
perché l'insegnamento del Catechismo, che Benedetto XIV disse: «la più utile
istituzione per la gloria di Dio e la salute delle anime
» (Constit. Etsi minime,
13), si mantenga sempre in vigore, e dove per caso si trascuri, torni a fiorire.
Volendo pertanto, o Venerabili Fratelli, adempiere questo gravissimo dovere
impostoci dal supremo apostolato, ed introdurre da per tutto uniformità in questa
rilevantissima materia, colla Nostra suprema autorità stabiliamo e strettamente
ordiniamo che in tutte le diocesi si osservi ed adempia a quanto segue:
Questo, Venerabili Fratelli, Noi prescriviamo e comandiamo
con apostolica autorità. Tocca ora a voi, ordinarne l'esecuzione pronta ed intera
nelle vostre diocesi; e colla forza della vostra potestà vigilare ed impedire
che tali Nostre prescrizioni sieno dimenticate o, ciò che equivale, eseguite
superficialmente. Il che perché si eviti, fa d'uopo che Voi non cessiate di
raccomandare e pretendere che i parrochi non facciano senza apparecchio queste
loro istruzioni, ma vi premettano diligente preparazione; non parlino parole
di umana sapienza, ma «con semplicità di cuore e nella sincerità di Dio
» (II,
Cor. I, 12), imitando l'esempio di Gesù Cristo il quale, benché rivelasse «misteri
nascosti fin dalla costituzione del mondo
» (Matt. XIII, 35), parlava nondimeno
«alle turbe sempre con parabole, né senza parabole discorreva alle medesime
»
(Ibid. 34). E lo stesso fecero altresì gli Apostoli ammaestrati dal Signore;
dei quali disse il Pontefice S. Gregorio Magno: «Ebbero somma cura di predicare
ai popoli ignoranti cose piane ed intelligibili, non sublimi ed ardu
e» (Moral.,
I. XVII, cap. 26).
E perciò che spetta alla religione, la più parte degli uomini, ai dì nostri, sono da considerarsi ignoranti.
Non vorremmo però che da questo studio di semplicità da taluno si inferisse che questo genere di predicazione non richiede fatica e meditazione, che anzi ne esige maggiore che qualunque altro genere. Più agevole assai è trovare un predicatore capace di tenere un eloquente e pomposo discorso, anzi che un catechista che faccia una istruzione lodevole sotto ogni riguardo. Qualunque pertanto sia la facilità che altri abbia da natura di concepire e di parlare, si rammenti bene che non potrà mai fare un fruttuoso catechismo ai fanciulli ed al popolo senza prepararvisi con molta riflessione. S'ingannano coloro che, facendo a fidanza colla rozzezza ed ignoranza del popolo, credono di poter procedere in questo fatto con trascuratezza. Per contrario, quanto più l'uditorio è grossolano, cresce l'obbligo di studio maggiore e di maggior diligenza, per mettere alla portata di ognuno verità sublimissime e sì remote dalla intelligenza del volgo, che pur fa d'uopo che tutti, non meno dotti che ignoranti, conoscano per conseguir l'eterna salute.
Orsù pertanto, Venerabili Fratelli, Ci sia lecito, sul termine
di questa Nostra Lettera, rivolgere a Voi le parole che disse Mosè: «Se alcuno
appartiene al Signore si unisca a me
» (Exod. XXXII, 26). Vi preghiamo e scongiuriamo,
riflettete quanta rovina di anime si abbia per la sola ignoranza delle cose
divine. Forse molte cose utili e certamente lodevoli avete voi istituite nelle
vostre diocesi a vantaggio del gregge affidatovi: a preferenza di tutte però
vogliate, con quanto impegno, con quanto zelo, con quanta assiduità vi è possibile,
procurare ed ottenere che la scienza della cristiana dottrina penetri ed intimamente
pervada gli animi di tutti. «Ciascuno
», sono parole dell'Apostolo S. Pietro,
«come ha ricevuto la grazia, l'amministri a vantaggio altrui, come buoni dispensatori
della multiforme grazia di Dio
» (I, Petr. IV, 10).
Ed intercedente la Vergine beatissima Immacolata, fecondi la vostra diligenza e le vostre industrie, l'apostolica benedizione, che, pegno del Nostro affetto ed auspice dei divini favori, impartiamo dall' intimo del cuore a Voi ed al clero e al popolo a ciascuno di voi affidato.
Dato a Roma, presso S. Pietro il giorno 15 aprile 1905, nel secondo anno del Nostro Pontificato.
Pio PP. X
ultimo aggiornamento: 14.08.2007